Cento minuti mal contati per dare un volto alla stagione con la finalissima di Champions League. La gara di questa sera a San Siro rappresenta uno di quei treni che passano poche volte: c’è l’imbucata per giocarsi la Coppa a Istanbul, una specie di "Gronchi rosa" per il calcio italiano che non vince da 13 anni, dall’Inter di José Mourinho che mise a segno il Triplete. Da allora, sono state portate a casa soltanto paio di finali, grazie alla Juventus di Max Allegri. Dj Ringo, storico tifoso rossonero, si era augurato un Milan “punk rock” nella doppia sfida con i nerazzurri. A poche ore dal derby, con il vantaggio accumulato dall’Inter nella partita d’andata, il popolare direttore artistico di Virgin Radio indirizza i suoi pensieri al campionato.
Il Milan è al bivio della stagione?
Direi proprio di no, la Champions League in questo momento viene dopo per me, mi rendo conto di essere impopolare ma è più importante vincere un paio di partite in fila in campionato per riavvicinarci al quarto posto. Restare senza Champions nella prossima stagione sarebbe davvero pesante da sopportare, i punti in campionato a disposizione sono pochi, abbiamo ancora qualche cartuccia da giocare, anche se la nostra rosa non si è mostrata all’altezza, ci sono giovani come De Keteleare che vanno aspettati, è l’unica politica da seguire ora per non ricoprirsi di debiti.
Come si è accesa la tua passione rossonera?
È avvenuto per induzione familiare. I miei genitori erano tifosissimi del Milan, ammiratori di Nereo Rocco, ma in famiglia c’era anche un nonno interista. Da ragazzino andavo a San Siro, da dietro la porta ero impressionato dal “Ragno Nero”, Carlo Cudicini. Chiedevo a mia madre chi fosse quel gigante. Ne rimasi impressionato.
Si avverte grande nostalgia per quei tempi.
Sono ricordi dolci, il Milan negli anni ‘70 è stato il Trap, poi Schnellinger e ovviamente Rivera: andai all’aeroporto di Linate a gustarmi la discesa di Rivera con la Coppa dei Campioni dopo il successo sull’Ajax, ero sempre a San Siro per il discorso di Rivera. Sono stati grandi anni, prima della retrocessione, che abbiamo pagato tutti noi milanisti, mentre il responsabile è stato solo il presidente Farina.
Poi è arrivato Silvio Berlusconi…
Grandi vittorie, lunghe trasferte, campioni straordinari che sono diventati poi amici. Mi sono divertito: sarebbe facile per me dire che il trio degli olandesi tra fine anni ‘80-inizio ‘90 mi abbia rapito il cuore, soprattutto Marco Van Basten, ma poi farei un torto ad altri fenomeni, come Kakà, Sheva, mi deliziava Savicevic, fino ad arrivare a Ibrahimovic, che in questa stagione ci sarebbe servito eccome, anche a 42 anni.
A proposito di leggende: il tuo amico Paolo Maldini si è sempre tenuto lontano in carriera dagli ultras. Avete parlato di quanto avvenuto a La Spezia?
Siamo amici ma non parliamo mai di lavoro, piuttosto di cose personali, di musica, raramente parliamo di calcio, sulla vicenda ultras non abbiamo assolutamente parlato.
Cosa pensi dei calciatori rossoneri chiamati a rapporto dal tifo organizzato?
Stavolta non ci vedo proprio nulla di male. È stato un confronto civile, gli ultras sostengono la squadra, anzi mi piace sottolineare che il giorno successivo al confronto di La Spezia gli ultras erano a Milanello a sostenere la squadra, questo ho notato con piacere. Non sono per le commistioni tra calciatori e tifo organizzato, ma non vedo e comprendo questo clamore, ormai ogni tipo di contatto con il tifo organizzato viene visto male.
Ci racconti una grande pazzia per il Milan?
Sono passati tanti anni, ricordo che il Milan aveva giocato in Grecia e mi sono ritrovato verso mezzanotte senza il biglietto aereo per il ritorno a Milano. Non c’erano voli a disposizione, poche ore dopo sarei dovuto andare in onda, non sapevo come fare, poi la luce: chiesi aiuto agli ultras che avevano affittato un charter per il ritorno a casa, fui catapultato sull’aereo tra l’altro assieme a Franco Baresi e Filippo Galli, feci la tratta in braccio a non ricordo chi. La mattina dopo andai a lavorare.