Forse sono una brutta persona io, ma la protesta degli studenti in tenda contro gli affitti cari partita da Milano mi lascia perplessa. Intanto, una premessa. C’è stato un tempo in cui chi si azzardava a criticare Milano veniva sommerso dagli insulti. La ragione era semplice: guidata dalla sinistra tutta chiacchiere e Ztl, capitanata da un sindaco un tempo city manager della giunta di destra, Milano era la foglia di fico perfetta per un Paese in cui ogni singolo indicatore economico che avesse a che fare con i più giovani - dal numero di laureati per abitanti al potere d’acquisto, passando per la diffusione di internet – precipitava: e infatti non passava mese senza che sui giornali italiani e stranieri uscisse una classifica sulla qualità della vita in cui il capoluogo lombardo figurava stabilmente ai primi posti. Ma improvvisamente il vento – anzi, “la narrazione”, come dicono i giusti - è cambiato, i giornali hanno scoperto che Milano è una città carissima dove gli stipendi non sono parametrati al costo della vita e il biglietto della metro – alla faccia della giunta di sinistra – costa più che a Parigi. Altro che cocktail bar e privè: sushi all’Esselunga – comprato dopo le 18, che costa meno - e ad andar bene una birretta da asporto, a meno che tu non abbia la famiglia a coprirti le spalle. Viene da dire: meglio tardi che mai. Si, perché del costo della vita indecente nelle grandi metropoli nel resto del mondo se ne discute da anni. Nel 2017, per dirne una, uscì un libro, “Vanishing New York”, divenuto presto un caso editoriale, che illustrava brutalmente come la Grande Mela avesse venduto l’anima al diavolo, cioè alla grande speculazione edilizia sostenuta dalle banche. Libri, articoli e studi universitari simili sono stati pubblicati anche per Amsterdam, Parigi, Berlino, ma mentre altrove si capiva che il fenomeno della gentrificatione andasse problematizzato, da noi nessuno, per anni, si è azzardato a dire nulla, continuando ad esaltare acriticamente un modello di sviluppo che non aveva, e non ha, niente di umano.
Perché il problema non è Milano o quelle taccagne delle sciure milanesi che vogliono speculare sui poveri studenti. Il problema – o meglio, uno dei problemi - è aver lasciato la gestione della modernità alle salamandre della Silicon Valley, che senza pagare un euro di tasse, hanno fatto carne di porco del nostro tessuto sociale e dei diritti delle persone. Da un pezzo, si sa che una delle principali cause del caro affitti a livello internazionale è Airbnb – ci sono fior di studi a riguardo (questo per esempio è di Bloomberg, ed è del 2017, una vita fa). Eppure, di Airbnb da noi ancora oggi nessuno parla, e anzi viene tranquillamente utilizzato con entusiasmo da quella stessa generazione che protesta in tenda. E allargando il discorso: vi ricordate quando arrivò da noi Uber e i tassisti protestavano? Io ricordo sul mio feed la gente che si lamentavano di quanto fossimo retrogradi in Italia. Poi però i grandi giornali internazionali (questo è il Guardian) ci hanno raccontato una versione leggermente diversa, e che a protestare non erano certo solo gli italiani.
E che dire delle società che consegnano il cibo a domicilio - offrendo paghe e condizioni di servizio per le quali, negli anni ’90, avrebbe fatto scattare un’insurrezione? Le app sono belle, comode e fanno risparmiare nell’immediato: fino a che quel piccolo risparmio si trasforma in macelleria sociale. La Generazione Z che ha passato anni a indignarsi per un tweet, dovrebbe chiedersi perché, in passato, ogni volta che qualcuno metteva in guardia dal costo economico e sociale di un’innovazione, lei ha reagito dandogli del boomer. E magari domandarsi anche come mai abbia combattuto fiere battaglie virtuali in difesa dei diritti di ogni minoranza, fregandosene però del diritto più importante, quello da cui derivano gli altri, senza il quale non esiste libertà: il diritto economico. Quando mai, sotto elezioni, abbiamo visto in Italia scendere in piazza la minoranza più umiliata e sfruttata d’Europa, i giovani italiani, per chiedere rispetto e risposte da una politica che ha svenduto pezzo per pezzo il loro futuro? Per esempio: quanto è durata la protesta per le scandalose morti causate dalla sciagurata alternanza scuola-lavoro? Oggi prendersela con la politica serve a poco, così come a poco servirebbero i pochi spiccioli che vengono richiesti. Il problema non sono più il sindaco o il governo: in causa c’è un intero modello economico, banalmente conosciuto come neoliberismo, di cui il caro affitti costituisce la punta dell’iceberg. Cambiarlo è impresa titanica, perché presuppone un cambio radicale di stile di vita, altro che qualche giorno passato in tenda come nelle occupazioni del liceo. E, soprattutto, perché passa dalla definitiva presa di coscienza di un punto fondamentale: che la vera inclusività non è quella dove tutti parlano con le desinenze linguistiche giuste, senza dire parole proibite per non offendere nessuno: ma quella dove tutti hanno i mezzi economici necessari per costruirsi un futuro. Facciamo che da domani ci indigniamo solo per questo?