Francesco Bagnaia parla spesso di chi gli sta intorno. La famiglia, la fidanzata, la squadra, il preparatore. Lo fa spesso perché è sempre stato da solo a fare quella strada che da Chivasso, fuori Torino, porta ai circuiti in cui si corre in moto. È stato il solo, giovanissimo, ad andare così forte con una Mahindra da vincere un turno sulla MotoGP, una scommessa folle e lungimirante pagata da Gino Borsoi. Era il 2016 a Valencia, il martedì dopo la gara: Pecco fa 9 giri su di una GP 14.2 andando più forte di Eugene Laverty che era pilota titolare. Quel giorno ha raccontato di aver fatto anche un pensiero su Marc Marquez: “Adesso lo passo e faccio un po’ il figo”, le sue parole una volta sceso dalla moto. Oggi il figo con Marquez lo sta facendo abbastanza spesso.
Da solo Bagnaia è arrivato a Pesaro, in mezzo ad altri come lui che si conoscevano da una vita. E da solo, quest’anno, è stato chiamato a vincere un mondiale per una casa a cui manca da 15 anni. Le cose sono andate subito male, poi peggio. La Desmosedici GP22 non era a posto, lui faceva fatica, troppa per sognare fino a lì e convincere gli altri. Il momento più forte a Le Mans, quando dopo aver buttato via 20 punti è tornato al box a piedi con la visiera ben chiusa. Attorno: sole ardente e i piloti migliori al mondo che si giocano la vita ai trecento orari. Lui: a piedi, un passo davanti all’altro come se dovesse salire al Golgota.
Dopo la Germania i punti a separarlo da Fabio Quartararo erano 91. Analisi dei tifosi: Impossibile. Analisi degli espertissimi: mai nessuno nella storia. Analisi dei tecnici: gli resta solo la matematica. Invece, inutile dirlo, Pecco ha continuato ad andare forte, a vincere (e anche a sbagliare) mettendo assieme sei vittorie, tre podi e un totale di 233 punti in classifica dopo l’Australia. Oggi è primo in campionato, per la prima volta in MotoGP, a 14 punti dal secondo. Per arrivarci ha attraversato il suo deserto personale a piedi: strada desolata, arida e bellissima, nessuno a dirti se arriverai in fondo. Nessuna indicazione. Un consiglio in testa che dice vai libero, Go Free. Uno così dovrebbe correre la Dakar.
Quando Fabio Quartararo arrivava davanti nessuno se la prendeva con le otto Ducati piegate dal campione del mondo. Se la prendevano con lui. Ora che ha cominciato a vincere, che è lì, è come se ci fosse arrivato da principe, seduto su di una carrozza trainata da una mandria di Desmosedici. Ma nello squadrone rosso non ci arrivi grazie agli altri. Sulla seggiola del box, spesso, Bagnaia è l’immagine della solitudine: frontino a coprire gli occhi, sguardo lontano, dati da studiare. Il pilota di moto è da solo nel casco, nella ghiaia e sul podio. A cucire quei 105 punti di sutura in classifica ci è arrivato da solo. A piedi, un passo alla volta attraversando il deserto.