La notizia è recentissima, l’infortunio meno: lo scorso sabato Marc Marquez è caduto durante un allenamento con la moto da cross rimediando un trauma cranico che, in via precauzionale, lo ha obbligato a saltare il GP dell’Algarve a Portimaõ. Anche stavolta, come a Jerez 2020, l’infortunio è capitato quando Marc sembrava essere il pilota più in forma della griglia: da Aragon infatti, lo spagnolo ha collezionato più punti di chiunque altro grazie a due vittorie, un secondo posto e una quarta piazza. Numeri che lo avrebbero dato per favorito il prossimo anno, tra il recupero che sembrava procedere per il meglio e lo sviluppo della Honda a venirgli incontro. Dopo questo episodio però, ci siamo chiesti se sarà ancora così. Lo abbiamo chiesto al dottor Riccardo Ceccarelli, fondatore di Formula Medicine, una struttura che lavora con oltre 120 atleti per migliorare le loro prestazioni sia sul lato fisico che su quello mentale. Ecco cosa ci ha raccontato.
Marc Marquez si è infortunato durante un allenamento rimanendo vittima di una commozione cerebrale lo scorso sabato. Il fatto che abbia bisogno di una settimana per rimettersi è preoccupante in un mondo veloce come quello della MotoGP?
“Difficile da dire. Quando c’è un trauma cranico la situazione si affronta sempre con un po’ di precauzione, soprattutto nelle prime ore. La commozione cerebrale è un impatto di una certa violenza che non dovrebbe presentare lesioni o micro emorragie, tuttavia nel caso di un altro impatto il cervello risulterebbe più delicato. Per questo in sport in cui potrebbero esserci ulteriori traumi, come per esempio il pugilato, si tende ad aspettare di più, fino al momento in cui le cose tornano alla normalità. Probabilmente non è nulla di grave, penso sia stata fatta una scelta conservativa considerando che Marc Marquez non è in lotta per il titolo”.
Dopo la brutta esperienza dell’anno scorso un approccio più prudente sembra il minimo.
“C’è anche da considerare che con un braccio ci si può prendere un rischio - non ho visto la documentazione e non posso sapere cosa sia successo - però sicuramente hanno tentato un approccio precoce. A volte va bene, altre no. Questa non è una critica a chi l’ha preso in cura, perché sul braccio si poteva scommettere, la testa invece è un altro discorso a meno che tu debba fare la gara della vita per vincere un mondiale”.
Come dovrebbe affrontare il futuro? Da Aragon è stato il pilota a fare più punti, questa potrebbe essere un’ulteriore difficoltà nel suo percorso di crescita?
“Spesso e volentieri ci dimentichiamo che questi piloti sono la punta di un iceberg che a livello mondiale ha selezionato una ventina di talenti. Quelli che arrivano a guidare una MotoGP sono i più forti al mondo anche di testa. Hanno risorse mentali e caratteriali fuori dalla norma, lo vediamo anche quando ritornano in pista dopo grandi incidenti o cadute. C’è poco da insegnare a loro, ma a 350 Km/h devi avere pieno controllo del tuo corpo e della moto, altrimenti non arrivi al limite. Sarà importante per lui recuperare una condizione fisica che gli permetta di ritrovare confidenza con la moto. Se un pilota non sente il controllo, se non sente la ruota anteriore, guida un po’ lontano dal limite. E in moto basta un niente per perdere un secondo al giro”.
Quindi nel 2022 Marc Marquez potrebbe essere l’uomo da battere?
“Io lo davo per favorito per l’anno prossimo. Ora ha ritrovato la forma fisica e il gusto per la vittoria, se riuscirà a ritrovare un buon set up lavorando con la Honda secondo me partirà come favorito numero uno per il mondiale. Poi sicuramente Bagnaia e la Ducati saranno un avversario difficile, anche Pecco ha raggiunto uno stato di forma straordinario. Lo vedi proprio quando sono in questa farse, riescono a spremere la moto come un limone e tirare fuori il massimo da ogni condizione. Anche Quartararo sarà lì, senza dubbio. Se devo dire tre nomi loro ci sono di certo”.
Che problemi ha un pilota al rientro da un infortunio?
“Quando un pilota rientra dopo un infortunio non ha paura di trovare il limite. Però se fatica a trovarsi a suo agio è durissima. Nella mia equipe ci sono degli psicologi che lavorano coi piloti, anche se solitamente loro non vogliono perché pensano allo psicologo come ad una figura che risolve i problemi di ansia, di chi trema prima della gara e ha paura di andare in pista. Ma lo psicologo con cui lavorano i nostri piloti è al pari di un preparatore atletico, lavora per ottimizzare la mente per riportarla ad essere veloce. Mi ricordo quando Davide Brivio, tanti anni fa, mi disse che la grande forza di Valentino era questa: poteva avere tanti problemi in testa, ma nel momento in cui infilava il casco spariva tutto ed entrava in pista con la mente pulita. Questa è la mentalità del campione. Il nostro lavoro è quello di portare il pilota a questo livello, a guidare in automatico, perché tanti automatismi possono venire a mancare. Il pilota non ha paura, ma può distrarsi per mille fattori come un tennista che vede uno spettatore muoversi”.
Loris Capirossi diceva che, se un pilota ha paura, smette subito di correre.
“Io sono stato alle gare e, rispetto ai piloti di Formula 1, ho percepito chiaramente che loro sanno di correre un rischio maggiore. Sanno che una caduta può costare caro, anche un infortunio banale può costare un titolo. E il loro problema, la loro paura, è quella di non tornare a guidare al limite, non pensano di farsi male”.
Fabio Quartararo, dopo aver vinto il titolo, ha parlato a lungo dell’aiuto ricevuto dal suo psicologo.
“Mi sono sempre chiesto, lavorando in questo ambiente, come si raggiunga la fiducia in sé stessi. Quando ero ragazzo nasceva il training autogeno, un mantra che ti ripeteva costantemente, a martellate, di essere il più forte. Ma questa è una cosa assurda, la vera self confidence la raggiungi quando - nel bene e nel male - sai di essere forte. Quando sai di avere pregi e difetti. A quel punto arrivano i risultati e, di conseguenza, arriva la fiducia in sé stessi. Per arrivare ai risultati però devi avere flessibilità mentale, adattarti. A volte il pilota che si crea un alibi, pensa che la moto non vada bene per lui, è rigido mentalmente”.
Francesco Bagnaia ha dichiarato più volte di non toccare mai il setting della moto, quando può. È questa la fiducia in sé stessi?
“La cosa importante è saper trovare il meglio in ogni situazione. Non essere rigido, non avere preconcetti sulla moto, le gomme e le varie situazioni: liberare la mente, partire senza alibi. Questo permette ad un pilota di gestirsi fuori dalla zona di comfort, i piloti arrivano a questo processo anche in maniera quasi casuale, ma dovrebbero riuscire ad arrivarci in qualsiasi condizione”.
C’è un pilota in particolare che vi ha stupiti?
“Mi ricordo di quando abbiamo avuto occasione di lavorare come volevamo con Danilo Petrucci. Fece quattro podi in Pramac, fu il primo pilota di un team privato ad arrivare a questo risultato in una stagione di MotoGP. Lui è riuscito ad ottimizzare molto il lavoro che abbiamo fatto, anche se rispetto agli altri ha un handicap di peso e statura. Non sembra ma è rilevante, lo vedo già nelle auto da corsa quando gli ingegneri chiedono ai piloti di levarsi l’orologio… Figuriamoci nelle moto. Però ricordo che Danilo quell’anno entrò in uno stato di grazia con una moto che riusciva a guidare al limite in ogni situazione. Puoi purtroppo non siamo più riusciti a lavorare come avremmo voluto, Danilo ha anche trovato condizioni diverse… Con lui però ho visto cosa succede quando un pilota di talento riesce a fare il cocktail perfetto tra il mezzo meccanico e il gruppo di lavoro. Danilo ha grandissimo talento, ma ci sono talmente tante variabili nel motociclismo che tutto cambia in un attimo. La moto è affascinante per questo e forse in MotoGP manca ancora questa capacità di mettere assieme al meglio moto e pilota”.