Che le cose non siano andate esattamente come da programma, ora, forse, lo possiamo dire. Giunte in Qatar con tutti i favori dei pronostici, le Ducati ufficiali hanno fatto segnare il record del circuito, con Jack Miller, nel corso dei test pre-campionato, un nuovo record in prova, con Pecco Bagnaia, e la prima pole position dell’anno, durante le stesse qualifiche. Entrambe la gare disputate a Losail, però, sono state vinte da una Yamaha, Miller non ha mai centrato il podio, Bagnaia l’ha agguantato per un soffio in “gara 1” e non è riuscito a ripetersi in “gara 2”. Ma non è tutto. Proprio Miller, presentatosi al via della stagione con i galloni della (potenziale) prima guida, è apparso molto nervoso, tanto nel corso del primo week-end di gare, quanto nelle prove di sabato scorso, quando sono volati guanti e - presumibilmente - qualche brutta parola, dopo il deludente piazzamento sulla griglia di partenza. Una tensione culminata con la feroce sportellata rifilata a Mir, durante l’ultimo Gran Premio, e con un altro nono posto, dopo quello della prima gara. Ok, Jack non si è steso, ma se l’idea era di sfruttare al meglio la pista storicamente più favorevole del mondiale a Ducati, per avanzare una qualche forma di candidatura alla lotta per il titolo, siamo decisamente partiti con il piede sbagliato.
Certo, sono passate soltanto due gare, tutto può ancora succedere. Saremmo assolutamente lieti di farci smentire da Jack e da Pecco (apparentemente il più stabile tra i due). Ma la verità è che queste prime due gare sembrano poter aggiungere qualcosa alle considerazioni sul rapporto tra Ducati e Dovizioso. A risaltare, per contrasto, sono infatti le sue due vittorie consecutive, ottenute nel 2018 e 2019 (nel 2020 non si è corso in Qatar). Vittorie che, per inciso, hanno visto anche un certo Marc Marquez (in piena forma), tra gli sfidanti. Della serie: non solo oggi non si vince, ma non lo si fa neppure senza il pilota più forte in pista. Insomma, Dovi era davvero veloce, con quella moto - o, almeno, Dovi sapeva davvero gestirla meglio degli altri. E poi c’è il tema del logorio, della tensione, di quella pressione che l’ha portato a mandare tutti a quel paese, a lasciarli nel loro brodo.
La Ducati avrebbe vinto se, alla guida, ci fosse stato, oggi, Andrea Dovizioso? Nessuno lo può sapere, questo è chiaro. Quello che si può sapere è che la Ducati avrebbe dovuto vincere, ieri, esattamente come la domenica precedente, ma non l’ha fatto. Che atmosfera si vive dentro quel team? Perché la radiosa gioia di correre che sprizza chiunque guidi una Ducati nel team Pramac, si trasforma in una tensione in grado di stritolare anche la più resistente delle corazze, una volta indossata quella tuta rossa? A quattordici anni dall’esordio col turbo di Stoner, proprio in Qatar, forse è giunto il momento di domandarselo con più convinzione. Perché in quel box sono cambiati i tecnici, i progettisti, i team manager, sono passati un sacco di piloti e quella moto è evoluta tantissimo, ma la difficoltà nel mettersi in sella con la testa sgombra, sembra davvero non cambiare mai.