Si dice che, senza il suo aiuto, Lewis Hamilton non sarebbe mai diventato il sette volte campione del mondo che oggi è. Si dice che guardò Enzo Ferrari negli occhi e gli disse che la sua auto era una merda. Si dice che non ringraziò l’uomo che gli salvò la vita nell’incidente al Nürburgring.
Si sono dette tante cose su Niki Lauda, alcune vere e altre frutto di una leggenda destinata a moltiplicarsi con il passare degli anni, ma forse la più grande verità è che, a due anni dalla sua scomparsa, in Formula 1 si sente il vuoto della sua mancanza. Perché Niki Lauda era la voce della verità, quello con cui tutti volevano parlare, l'uomo meno politico del Circus, il più simpatico e ribelle, sempre però a modo suo.
Irresistibile in quell'ironia austera, austriaca, e indimenticabile nei tratti di un viso segnato dal tempo e dal fuoco dell'incidente più famoso della storia del suo sport.
Un evento che lo ha cambiato e che in qualche modo gli ha aperto le strade verso la leggenda, l'albo d'oro degli indimenticati e indimenticabili della Formula 1, ma un episodio che non ha modificato l'animo di Niki, da sempre poco politicamente corretto, troppo sincero, e ribelle a modo suo. Perché il modello della ribellione è, almeno nell'immaginario comune, il ritratto di James Hunt: l'avversario di sempre, il bello e dannato, spocchioso e simpatico, possibilmente con la sigaretta in bocca e i capelli lunghi spettinati.
Ma ci rendiamo conto, forse oggi che la sua assenza si fa pungente a due anni dalla sua scomparsa, che il vero ribelle era proprio Niki Lauda. Concentrato, illegibile, schietto davanti a tutti, compresi i mostri sacri come Enzo Ferrari, capace di affascinare senza saperlo, di far innamorare senza nemmeno volerlo.
Da ragazzo si ribellò a una vita da ricco banchiere già scritta, lasciò gli studi, si indebitò fino ai capelli e firmò un’assicurazione sulla vita a vantaggio dei suoi creditori. Tutto per la Formula 1, tutto perché arrogantemente convinto di poter diventare il più forte di tutti.
La storia racconterà poi la vita di un uomo tenace, incredibilmente talentuoso, capace di superare il grande spartiacque della sua vita, l'incidente del Nürburgring nel 1976, solo 42 giorni dopo, al Gran Premio di Monza dello stesso anno.
Follia o immensità, che ognuno la chiami a modo suo. La verità è che Niki fu molto più di quell'incidente, e di quel mondiale perso contro Lauda, in Formula 1 durante i suoi anni da pilota e dopo, quando il Circus ancora aveva bisogno di lui: commentatore televisivo per la tedesca RTL, team principal per la Jaguar Racing e infine presidente onorario della Mercedes F1.
Ma non cambiò mai un granché. Legatissimo a Lewis Hamilton lo sgridò pubblicamente in più di un occasione. Indimenticabile il commento all’incidente di Barcellona nel 2016, quando i due piloti Mercedes si scontrarono al via buttando al vento una doppietta assicurata. La scuderia prese la via più sicura, mettendo la colpa nel mezzo, ma tutti sapevano che per avere la verità bisognava andare da Niki. “Colpa di Lewis” sentenziò l’austriaco, puntando il dito contro il suo pupillo. Un errore che quell’anno probabilmente gli costò il titolo e una lezione che Hamilton non dimenticò mai.
Ricordi sparsi di un Niki Lauda che lasciando il paddock, a due anni dalla sua scomparsa, ha lasciato soprattutto un vuoto che ad oggi sembra impossibile da colmare.
In Mercedes, dov'era spirito libero e membro estroso al centro di un team tedesco, ma anche altrove: nello spettacolo, nelle interviste, nell'andare sempre contro quel politicamente corretto che aleggia su Liberty Media da un po' di anni a questa parte.
Manca la sua ribellione austriaca, simpatica, diversa. Ribellione fuori dall'immaginario comune, da ciò che siamo abituati a chiamare così.
Ci manca semplicemente Niki, e tutto ciò che lo rendeva così inconsapevolemente unico e amato. Compresa la sua irresistibile antipatia.