È come se gli oscuri sceneggiatori del torneo inglese, dopo il distacco di diciotto punti con cui il Liverpool ha vinto l'ultimo titolo, avessero voluto inserire una nuova protagonista nel plot. E così, mentre si consuma il crollo dei giganti, con i Reds che prendono sette gol dall'Aston Villa e il Manchester City cinque dal Leicester, l'Everton vince quattro gare su quattro (sette su sette se si considera anche la Carabao Cup) e conquista la vetta della Premier.
Non è difficile indagare i motivi di questa grande partenza. L'Everton è una squadra trasparente, autentica, semplice. Non ci sono meccanismi complessi a regolarla. Dal punto di vista tattico, i princìpi su cui sta lavorando il tecnico Carlo Ancelotti sono chiari: un calcio diretto e verticale che mira a sfruttare le caratteristiche di giocatori dinamici, e una tendenza alla mutevolezza che porta la squadra ad adattarsi ad avversari e momenti della partita. Dentro questo spartito essenziale, alcuni singoli si stanno esaltando.
Su tutti Dominic Calvert-Lewin, autore di un fenomenale avvio di stagione con 9 gol in 6 partite complessive. L'attaccante cresciuto nel vivaio dei Toffees, fino ad oggi mai così efficace, sembra quello che più sta beneficiando dell'impianto di gioco disegnato da Ancelotti. Oltre a lui, gli innesti di Allan e Doucouré hanno portato forza, aggressività e letture a un centrocampo che può contare sulla qualità di giocatori cerebrali come André Gomes, Sigurdsson e sulla freschezza del 22enne Tom Davies, altro prodotto dell'Academy.
In questo magma di atletismo ed elettricità che rendono l'Everton una squadra divertente da guardare, c'è un giocatore che gestisce l'interruttore della luce, che decide quando accenderla: James Rodríguez. Il suo sinistro è esattamente come ce lo ricordavamo prima che il colombiano finisse in un limbo di infortuni ed esclusioni. Ovvero dolcissimo. Così come la sua classe, ammantata di una grazia sospesa, antica, su cui pochi avrebbero scommesso ancora in un calcio iperintenso come quello di oggi. Tra questi pochi c'è Carlo Ancelotti, demiurgo e “padre”, che non ha mai dimenticato gli anni trascorsi insieme a Madrid e a Monaco, e che aveva tentato di portare i talenti di James anche sotto il Vesuvio, ostracizzato da chi lo riteneva un giocatore finito. L'Everton, invece, glielo ha regalato (per una cifra attorno ai 20 milioni), e vedendo il suo incredibile impatto con la Premier League, si può dire anche che se lo sia regalato. James ha già realizzato 3 gol e 3 assist, registrando dopo nemmeno un mese numeri migliori di quelli messi insieme al Real Madrid nell'arco di tutto lo scorso anno. Nel 4-3-3 asimmetrico dell'Everton parte da sinistra ma ha licenza di cercare libertà nelle zone del campo in cui può creare. Con le sue pause, regola gli equilibri di una squadra che ama farsi trascinare dalla corrente. Si è già ritagliato il ruolo di leader tecnico, ma oltre a questa naturale investitura, sembra pienamente coinvolto nella magia collettiva che sta animando la squadra, e che certamente sta giocando un ruolo importante in questo straordinario inizio di stagione.
Le cose non potranno andare sempre così, ma intanto l'Everton si gode questo momento d'oro, in attesa del derby con il Liverpool in programma il 17 ottobre, con cui potrà davvero aggiungere una tinta blu al pallino della città che negli ultimi anni si è posizionata al centro della geografia calcistica mondiale.
Se vedere l'Atalanta in testa alla classifica di serie A non sorprende più, l'Everton capolista in Inghilterra fa un effetto diverso. Tuttavia, per quelli che erano i piani, non dovrebbe destare troppo scalpore. Nella stagione 2017/18, Everton e Atalanta erano nello stesso girone di Europa League. Per i nerazzurri – che passarono il girone - era un ritorno sulla scena internazionale a 26 anni di distanza dall'ultima volta; per i Toffees – che vennero eliminati - , invece, reduci da una campagna acquisti piuttosto onerosa, non era che lo slancio di un progetto partito un anno prima, quando l'imprenditore anglo-iraniano Farhad Moshiri aveva acquistato la maggioranza del club con l'intenzione di portarlo in breve tempo a una dimensione di assoluta eccellenza. Le cose non sono andate esattamente come si aspettava, almeno sul campo. I 400 milioni investiti in quattro anni e l'aumento del 90% dei ricavi commerciali del club non hanno prodotto i risultati sportivi attesi. A differenza dell'Atalanta, l'Everton non ha mai trovato quell'identità di squadra che, come suggeriscono numerosi esempi (Klopp docet), non è un corollario della crescita finanziaria, ma resta l'architrave su cui costruire ogni progetto ambizioso e a lungo termine. Mancava, insomma, la componente principale per puntare davvero alla grandeur.
Per tentare una volta per tutte di colmarla, il 21 dicembre 2019 il club ha ingaggiato Carlo Ancelotti. Reduce da una turbolenta esperienza alla guida del Napoli, per il tecnico emiliano si trattava di una sfida nuova e affascinante, ideale per questo momento della sua carriera. Tra le mani non si trovava più una nobilissima del calcio mondiale, ma una squadra giovane da far crescere nel tempo. Ancelotti, che al contrario di altri navigati vincenti non si è adagiato sui trofei ma ha continuato a studiare calcio e modellare la sua visione cercando una sintesi tra modernità e tradizione, ha lasciato l'aristocrazia del calcio per assaporare il gusto di una scalata sociale, di una conquista che ha il sapore diverso del successo immediato. «Non ho mai avuto esperienze lunghissime nella mia carriera, ma mi piacerebbe poterlo fare qui: il Liverpool per arrivare al top ha impiegato 5 anni, l’Everton ha l’idea di costruire il nuovo stadio, ha l’ambizione di lottare per conquistare un posto in Europa. Mi piacerebbe fare parte di questo progetto a lungo», ha dichiarato a Sky Sport.
Un'esperienza nuova alla quale si è approcciato in modo diverso. Oltre al solito spirito mansueto che lo porta a manifestare sentimenti solo inarcando un sopracciglio, sembra che dentro Ancelotti, questa volta, arda un fuoco più vivo, una determinazione più feroce, figlia dei giudizi piovutigli sulla testa nell'infelice periodo napoletano, ai quali non è mai stato abituato. La stessa volontà ferrea di portare all'Everton James Rodriguez ha la forma di un riscatto condiviso, con il colombiano che rappresenta la sua sublimazione sul campo.
I tifosi gli hanno dimostrato subito grande affetto, come era ipotizzabile per un tecnico che ha vinto tre Champions League e che pochi giorni fa, in occasione della celebrazione dei 50 anni del club parigino, è stato nominato miglior allenatore della storia del Psg. Complice una stagione travagliata per via della pandemia, però, i suoi primi sette mesi alla guida dei Toffees sono stati agrodolci. Il dodicesimo posto finale non è di certo un traguardo da festeggiare, ma lungo il suo periodo di insediamento, Ancelotti ha gettato le basi per costruire una squadra solida e attraente che ora, grazie a un mercato mirato, sta raccogliendo i primi frutti e sembra finalmente poter ambire al tanto agognato salto di qualità.