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È giusto promuovere lo sportwashing? Il caso di Nadal ambasciatore della Federazione tennis in Arabia Saudita

  • di Chiara Boezi

7 febbraio 2024

È giusto promuovere lo sportwashing? Il caso di Nadal ambasciatore della Federazione tennis in Arabia Saudita
Rafael Nadal incarna tutti i valori del tennis e dello sport, mostrandosi al pubblico da anni come un perfetto esempio di dedizione, lavoro e passione. Proprio per questo è stato scelto come nuovo volto del tennis in Arabia Saudita. Ma è davvero giusto promuovere lo sportwashing o è arrivato il momento di chiedere agli sportivi di scegliere?

di Chiara Boezi

Il nuovo volto del tennis in Arabia Saudita è uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi: Rafael Nadal. La sua dedizione all’allenamento e il suo impegno sono d’ispirazione per qualsiasi ragazzo che voglia avvicinarsi allo sport e proprio per questo il campione maiorchino è considerato uno dei tennisti più adatti a sensibilizzare al tema dell'impegno, del duro lavoro e della dedizione. Arrivato a vette altissime tra i migliori al mondo, Rafa rappresenta un modello a cui i giovani tennisti oggi possono ispirarsi. E lo sa bene il presidente della federazione tennistica saudita, Arij Almutabagani, che dichiara: "Rafa incarna tutti i valori a noi cari in un vero campione, dentro e fuori dal campo". E lo stesso Nadal afferma: "Verso qualsiasi parte dell’Arabia Saudita volgi il tuo sguardo, puoi vedere la crescita e il progresso e sono entusiasta di farne parte […] voglio aiutare questo sport a crescere in tutto il mondo e qui c’è un gran potenziale". Un connubio da far invidia, quindi. O almeno così sembrerebbe. 

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Il progetto saudita con Nadal

Rafael Nadal Parera, classe 1986, è considerato uno dei più grandi tennisti di sempre. Nonché uno dei più grandi sportivi della storia. Il ‘’Re della terra rossa’’ ha annunciato, in seguito al suo infortunio agli Australian Open, che il 2024 sarà l’ultimo anno della sua carriera. Durante la sua ultima partita a Brisbane, ha subito un ulteriore incidente e, tramite una risonanza magnetica, gli è stata diagnosticata una micro-lacerazione muscolare. Nonostante l’imprevisto, non si demoralizza e dichiara ‘’È una triste notizia per me non poter giocare davanti alla fantastica folla di Melbourne […] restiamo tutti ottimisti riguardo all’evoluzione della stagione’’. Due settimane dopo, la dichiarazione ufficiale: Rafa è la nuova icona della Saudi Tennis Federation. Probabilmente si tratta della sponsorizzazione più remunerativa della sua carriera.

Il ministro erede al trono Mohammed bin Salman ha ben chiaro il suo obiettivo: investire nello sport per far incrementare il Pil nazionale. Il Regno saudita ha investito miliardi di dollari nell’organizzazione di eventi sportivi, dal calcio alla Formula 1. E tra questi c’è anche il tennis. Tutto questo ha uno scopo ben preciso: la Saudi Vision 2030. Un programma strategico promosso per ridurre la dipendenza dal petrolio e migliorare i settori di sanità, istruzione, turismo e intrattenimento. Almeno apparentemente. Una specie di ‘’panem et circenses’’, se non fosse che in Arabia Saudita il ‘’panem’’ sembrerebbe quasi inesistente. Il tentativo di migliorare l’immagine internazionale fallisce quando entrano in gioco i diritti umani e civili. Nel 2023, a Riad, sono stati giustiziati ottantuno uomini in un solo giorno – come ha riportato La Stampa. Per non parlare del diritto negato alle donne di lavorare, viaggiare o guidare senza il consenso di un uomo. Il principe ereditario ha dichiarato: ‘’Se lo sportwashing aumenterà il mio Pil dell’uno per cento, allora continueremo con lo sportwashing’’. Senza esitare.

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Ma che cos’è lo sportwashing?

Il termine è stato coniato nel 2015 dall’attivista di ‘’Reporters sans frontières’’, Rebecca Vincent. In occasione dei Giochi Olimpici Europei del 2015, svolti a Baku in Azerbeigian, denunciò e descrisse questa pratica come ‘’l’utilizzo dello sport per ripulirsi l’immagine e distogliere l’attenzione da altri problemi ben più gravi, come la sistematica violazione dei diritti umani per ragioni politiche, religiose, etniche o di genere’’. Tuttavia, la pratica dello sportwashing è molto più antica: in Argentina, durante i Mondiali del 1978, scomparvero trentamila persone e ne morirono duemila perché oppositrici del regime. E ancora più recentemente, in Qatar – forse la più grande operazione di sportwashing della storia- in cui si sono svolti i Mondiali di calcio nel 2022. Dove si verifica quotidianamente la violazione dei diritti umani ed ambientali. Dove sono state accertate, lo scorso anno, oltre 6500 morti sul lavoro.

Lo sport viene utilizzato per distogliere i cittadini dai problemi reali, dalle guerre, dalle negazioni dei diritti. Lo dimostrano le tribune vuote alla Supercoppa italiana a Riad. Lo scintillio di colori e i fuochi d’artificio non bastano a colmare la desolazione del ‘’King Fahd Stadium’’.

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