Qui sta andando a finire come Totò, lo scrivano, che non ci vede dalla fame (capita, a noi scrivani) al quale arriva un cliente che deve mandare una lettera (è di carta?) al suo nipote. Totò, già con l’acquolina in bocca, manda il figlio Peppiniello (che non ci vede dalla fame neanche lui – capita, ai figli degli scrivani) a comprare una pizza. Peppiniello, tutto contento, corre, mentre Totò si sfrega le mani. La dettatura della lettera comincia: “Caro Giuseppe compare nipote, a Napoli stoce facendo la vita de lo signore, pago sempre io – e Totò: “Peppiniello! Quelle pizze diventano due!” - alla sera me vago allu tabbarene e me ne esco quando chiode, e per questo mandame no poco di soldi perché non tengo manco li soldi per pagare lo scrivano che mi sta scrivendo la lettere qui presente… - e Totò: Peppiniello, ma quale pizza e pizza!”. Bombe, tricche, ballacche, petardi, hole, balletti, trenini, selfie con l’autobus dei giocatori, pianificazione di strade pedonali, punti di soccorso, la S.W.A.T. (non si sa mai), 22 minuti di festeggiamenti – li hanno cronometrati - gelati dal “mandame nu poco di soldi che non tengo manco li soldi per pagare lo scrivano” che poi sarebbe il gol della Salernitana.
Certo non si può chiedere a un napoletano, in special modo a un napoletano tifoso, di non essere a suo modo melodrammatico, tragedioso teatrante, ma curiosamente proprio nel calcio sembra scomparire la più alta delle manifestazioni dello spirito napoletano: l’ironia; con la curiosa conseguenza che vanno per tragediare e finiscono col sembrare ridicoli. Perché la tragediatura questo ha: un limite oltre il quale diventa immancabilmente commedia (e Totò, nel film già citato, “Miseria e Nobiltà” mette in scena mirabilmente questo sottile confine raccontando una vicenda di per sé tragica in maniera esilarante). Mi piacerebbe un brano neomelodico che raccontasse lo strazio infinito, il dolore profondo, la delusione inconsolabile, lo sguardo ferito fisso all’orizzonte in questo tramonto senza scudetto: e credo che seriamente ci sarebbe qualcuno pronto a commuoversi e a cantarla a squarciagola mentre le lacrime gli rigano il viso come lava dal Vesuvio. È una caratteristica di tutto il Sud, qui dove il teatro è stato inventato non possiamo farne a meno, ognuno di noi è una soubrette nel palcoscenico dell’esistenza.
E però bisogna dirlo, adesso, ma giusto giusto a Napoli non conoscono il significato e l’utilità della scaramanzia? Non dico di “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”, perché il gatto c’è e pure il sacco, ma portarsi sfiga da soli, eddai, no.Perché imparata la lezione di oggi, i laziali si stanno già organizzando, complici anche i colori delle maglie abbastanza simili, pare, si dice, si mormora, si sussurra, che i tifosi della Lazio abbiano intenzione di scendere per strada fingendosi tifosi napoletani, con tutto l’armamentario di babbà, pastiere esplosive, fischietti, motorini con sei persone sopra, parrucche di Maradona e di festeggiare per tutto il tempo delle partite. Fatelo almeno per Peppiniello, non lo fate andare avanti e indietro dalla pizzeria tutte queste volte. Che già ha fame, e poi si stanca. E quando vedo Peppiniello io non so se piangere o ridere.