Mateo Retegui ha iniziato a studiare l’italiano una manciata di giorni fa. Qualche parola la sa dire, ma se giovedì sera andrà in gol contro l’Inghilterra diventerà nell’immaginario collettivo già un salvatore della patria, e chi se ne frega della lingua madre, del suo essere nato in Argentina e del suo sentirsi argentino. Retegui è legittimamente un attaccante della Nazionale perché cittadino italiano per diritto – italiano è il nonno materno, nativo di Canicattì ed emigrato in Sudamerica, e lo è anch’egli per ius sanguinis, visto che la legge di cittadinanza in Italia funziona così – e perché Roberto Mancini, in assenza di Immobile (che pure in maglia azzurra ha una media reti molto inferiore rispetto ai suoi standard nel club, e con la quale non segna da giugno 2021), ha ritenuto che fosse meglio lui di altri.
Così il biondo attaccante di proprietà del Boca Juniors ma in prestito al Tigre, classe 1999, grande e grosso come si conviene al ruolo, si candida anche a una maglia da titolare già contro l’Inghilterra o Malta, e comunque ha più di un’opportunità di scavalcare Scamacca e Grifo nelle gerarchie di Mancini. Figlio di un allenatore di hockey su prato, sport nel quale avrebbe potuto avere un futuro se non avesse scelto il calcio, Retegui ha un fisico alla Luca Toni e, dopo il debutto in Primera Division con il Boca e le esperienze nell’Estudiantes e nel Talleres, ha iniziato a segnare con straordinaria continuità l’anno scorso nel Tigre. Seguito per un certo periodo dall’agenzia di Francesco Totti, che lo aveva preso in procura in vista di un possibile passaggio alla Roma, e ora dal padre Carlos, è un nuovo azzurro perché “di italiani che segnano non ce ne sono molti”, dice Mancini, e perché quelli che devono giocare, non giocano. E in effetti i grandi club nostrani hanno stranieri nel ruolo dei classici 9, da Osimhen a Vlahovic, da Lukaku ad Abraham, passando per Milik, Dzeko, Zapata, Giroud, e via via sino a Beto, Cabral, Arnautovic e tutti coloro che guidano l’attacco anche di squadre di seconda e terza fascia.
Tuttavia anche delle stesse punte centrali che ha chiamato il ct si fida il giusto, evidentemente non abbastanza per chiedere a Vincenzo Grifo, titolare nel Friburgo, di risolvere i problemi in zona gol dell’Italia, o per affidarsi una volta per tutte a Gianluca Scamacca (11 partite da titolare in Premier con il West Ham, ma da febbraio ha giocato solo 4 minuti in FA Cup), anche perché del resto l’attacco azzurro non può contare su due punte che sanno segnare (gli infortunati Chiesa e Raspadori) e ha per ora ha bocciato oltre a Belotti, centravanti molto di riserva ormai sparito dai radar, anche Pinamonti, coetaneo di Retegui. Bocciati anche Zaniolo e Kean, le altre punte esterne in rosa per questa tornata sono Berardi, che in Nazionale ha avuto ben poca gloria, Politano e Gnonto, oggi al Leeds, il quale in azzurro possiede un hype quasi fosse Bukayo Saka, non fosse che Saka è di un’altra categoria e ce l’ha Southgate che, per dire, può contare anche su Kane. Eppure... Poi c’è Simone Pafundi, trequartista di talento che ha da poco compiuto 17 anni, in Serie A conta appena 31 minuti spalmati su tre subentri di nessuna rilevanza negli ultimi dieci mesi con l’Udinese, ma in Nazionale ha già esordito lo scorso novembre: «Prima Pafundi, poi tutto il resto, questa è la mia idea quando scrivo la lista; ha qualità incredibili», ha detto Mancini, uno che ai giovani ha sempre dato fiducia e credito anche quando erano noti solo agli osservatori del calcio giovanile (si pensi al primo Zaniolo), ma un Pafundi col fisico e le caratteristiche di Retegui non l’ha trovato e allora spazio al nuovo che avanza, ovvero lui, che il passaporto italiano ce l’ha e allora tanto valeva convocarlo, hai visto mai che non lo facesse prima l’Argentina, perché anche le nazionali hanno il loro mercato.