Un potenziale campione che l’Italia pretende fuoriclasse. È forse la sintesi più adeguata della bolla di voci, critiche, aspettative intorno a Jannik Sinner, che ancora deve compiere 22 anni ma che si trova sulle spalle le attese del tennis italiano. Più su Sinner che su Matteo Berrettini, che pure a 26 anni sinora ha raggiunto risultati inattaccabili, tra la finale di Wimbledon dello scorso anno, un altro paio di semifinali nelle prove del Grand Slam ed è rimasto qualche tempo tra i top ten. Da Sinner ci si aspetta di più, molto di più, perché diversa è stata la narrazione che ha accompagnato l’altoatesino: un predestinato sin da ragazzino, il tennista che vale una generazione, quello che l’Italia attendeva dai tempi di Adriano Panatta. In realtà il processo di maturazione tecnica, fisica, emotiva di Sinner è in atto. Qualche giorno fa ha perso in semifinale a Indian Wells dallo spagnolo Alcaraz, nuovo numero uno mondiale, in una partita combattuta, specie nel primo set, con buona parte del match giocato allo stesso livello.
Sta crescendo, Jannik, forse più lentamente del previsto. Si sta potenziando su quegli aspetti - la prima di servizio e la resistenza fisica, in particolare al caldo - che finora sono stati i suoi punti dolenti. Ma si mugugna e in questo senso i social sono un moltiplicatore di insulti e luoghi comuni, anche se magari vince un torneo non di primo livello, come accaduto lo scorso mese a Montpellier. Si vuole sempre di più: che Sinner vinca uno dei tornei Master 1000, come Indian Wells o Miami che parte in queste ore (ha raggiunto la finale nel 2021), magari un torneo del Grand Slam, che manca da oltre 40 anni, da Panatta che trionfò al Roland Garros. L’attesa è spasmodica, nonostante la tradizione tennistica italiana, a parte fenomeni come Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta, non sia all’altezza di altri paesi, europei e mondiali. Forse troppo presto si è preteso di inserire Sinner nella generazione di campioni, che arrivano dal nuoto, per esempio, pronti a raccogliere il testimone da Valentino Rossi, Federica Pellegrini, Gregorio Paltrinieri, che in verità vince ancora.
Magari Jannik ci arriverà. Nel 2022 ha raggiunto i quarti di finale in tre prove dello Slam. Il talento gli permetterà - con il consenso del suo corpo, che spesso lo ha lasciato sul più bello - di piazzarsi stabilmente tra i primi cinque-sei tennisti mondiali (ora è tornato ai piedi dei top ten, è 11esimo - il suo problema, il suo scoglio si chiama semplicemente Carlos Alcaraz. Due anni in meno, un fisico già formato, un talento eccezionale, la tigna che sembra ereditata da Rafa Nadal: come ha spiegato in un tweet l’ex capitano di Coppa Davis e ora commentatore su Sky Sport, Paolo Bertolucci, tra Alcaraz e Sinner ci sono circa 4000 punti di distanza in classifica, che equivalgono a quattro Master 1000 (vanno 1000 punti in classifica a chi vince il torneo) e due prove del Grand Slam. Insomma, non è Sinner a tradire le promesse e se è avvenuto, rientra anche nella crescita fisiologica di un grande prospetto che può diventare un campione, il campione che l’Italia attende. Semplicemente, il fenomeno, il predestinato, quello designato a vincere per dieci anni, succedendo alla triade Federer-Nadal-Djokovic è lo spagnolo, con il permesso del 36enne serbo che non ha intenzione di mollare ma che per ora è ai box, senza accesso ai tornei americani perché sprovvisto della certificazione vaccinale sul Covid-19, ancora necessaria per i tornei negli Stati Uniti. Jannik dovrà inserirsi nei ritagli, nelle sue assenze, nei suoi passi falsi. Senza avvertire il peso di un paese intero sulle spalle.