In campo - con successo finale - all’Australian Open, ora costretto a casa sua, a Belgrado, mentre inizia il torneo di Indian Wells, in California. La crociata contro la vaccinazione anti Covid-19 sta pesando ancora parecchio sulla carriera straordinaria di Novak Djokovic. Gli Stati Uniti infatti continuano a tenere una linea dura sul contagio da virus: le autorità sanitarie americane hanno deciso di mantenere fino ad aprile l’obbligo di un certificato che attesti la vaccinazione anti Covid-19 per gli stranieri che vogliono accedere sul loro territorio. Ovviamente le imposizioni di carattere sanitario non fanno eccezione nello sport e quindi, nonostante la richiesta di una deroga del serbo, non c’è stato alcun ripensamento sull’iscrizione di Djokovic ai tornei di Indian Wells e poi Miami (Florida), due prove dei Master 1000, con un montepremi milionario e un pacchetto di punti da assegnare per la classifica mondiale. Ci saranno i migliori al mondo, non Nole, il più forte, il più vincente di sempre e recente vincitore dell’Australian Open.
Djokovic vedrà (forse) il torneo dalla Serbia, dove torna solitamente a rifugiarsi dopo le bufere mediatiche. Anche lo scorso anno il serbo ha saltato entrambe le competizioni americane e non ha ottenuto l’iscrizione neppure alla tournée americana estiva sul cemento all’aperto (che prevede un torneo anche a Toronto) e neppure allo US Open, l’ultimo dei quattro tornei del Grand Slam. E se lo scorso anno c’era ancora l’onda lunga della pandemia, con le campagne vaccinali in corso e numeri ancora da capogiro sul contagio, che poteva quantomeno giustificare un rafforzamento delle misure di sicurezza anche nelle competizioni sportive, al momento la situazione di Djokovic (e dei tennisti avversi alla vaccinazione) appare davvero surreale: solo negli Stati Uniti e in Cina, al momento, ci sono misure così restrittive per gli atleti novax. Nel paese orientale non ci sono stati tornei dal 2019 e non dovrebbero esserci partite di tennis a livello agonistico anche nel 2023, con poche possibilità che si giochino i tornei Atp e Wta che sono ancora previsti in calendario. Anche se alcuni quotidiani cinesi hanno aperto al ritorno almeno delle Wta Finals (il Masters femminile) entro la fine dell’anno.
Poche settimane fa l’Australia ha riaperto le frontiere per Djokovic, chiuse improvvisamente lo scorso anno per quel certificato medico sulla sua positività al Covid-19 precedente all’Australian Open, ritenuto non valido dal governo australiano, poiché serviva appunto, come negli Stati Uniti, il documento attestante la vaccinazione. Djokovic fu rispedito a Belgrado dopo un periodo di isolamento in un centro di migranti irregolari. Una vicenda mediatica surreale, con un conflitto di attribuzioni tra potere centrale, regionale, locale e una perdita di appeal notevole per il fuoriclasse serbo. Che invece nel 2023 è tornato a Melbourne, vincendo il torneo, dopo la decisione del nuovo governo australiano di concedergli una proroga sulla vaccinazione, alla luce dell’allentamento delle misure sul Covid. Un allentamento che ha previsto una serie di raccomandazioni governative agli atleti, ovvero di auto-isolarsi per cinque giorni, in caso di positività a test volontari. Una linea opposta a quella americana per una mancanza di omogeneità che di sicuro va ad alterare, se non condizionare, il regolare svolgimento della stagione tennistica.