Nel mese di febbraio 2023, mentre in Italia l'influencer Chiara Ferragni faceva pubblicità gratuitamente a Instagram, in diretta Tv e sul palco del Festival di Sanremo, in Europa sono arrivate diverse iniziative politiche, che rappresentano un cambiamento strategico nell'economia digitale: dai provvedimenti che vietano l'uso di TikTok ai dipendenti di Bruxelles, al disegno di legge della Commissione Cultura di Parigi che paragona Instagram ai "giornaletti sconci" del secolo scorso, fino al fisco britannico che chiede a Onlyfans la tassa sul valore aggiunto per i contenuti venduti agli arrapati dalle proprie utenti a luci rosse. Il vento in Europa sta cambiando e non è a favore delle poche aziende globali, ma in Italia? Forse "c'è del marcio in Danimarca", come sottolinea una celeberrima frase dell'Amleto di William Shakespeare, ma di sicuro ce n'è all'interno dei social network globali che fatturano in Europa. Almeno fino a questo caldo febbraio 2023, quando chi ha naso fino può sentire nell'aria l'inizio di un cambiamento negli eventi. La scorsa settimana ha creato discreto clamore la notizia del provvedimento della Commissione Europea di rendere TikTok vietato per i dipendenti pubblici sui propri dispositivi, privati e personali. La norma ricalca il medesimo provvedimento sancito dal governo degli Stati Uniti e dal successivo Canada: entro un mese si dovrebbe cancellare, dagli smartphone di proprietà pubblica e in uso ai dipendenti pubblici d'oltreoceano, la nota applicazione mondiale e Made in China di condivisione di balleti e sculettamenti in video.
Mentre da poco è stato annunciato il medesimo provvedimento da parte del Parlamento Europeo, che vieta l'uso dell'app di TikTok sui telefoni del personale, principalmente per motivi di sicurezza, anche se l'azienda globale si è già spesa tramite i propri rappresentanti in Europa, per elencare la solidità della riservatezza dei dati dei cittadini d'Europa che sono trasmessi e condivisi sul prodotto di comunicazione digitale di proprietà cinese. L'ufficialità del provvedimento è attesa a breve e non si applica solo agli smartphone "aziendali", ma anche ai dispositivi "privati" dei lavoratori nell'istituzione pubblica, nonché arriva a una settimana di distanza dall'equivalente decisione della Commissione Ue e del Consiglio Europeo. L'unione fa la forza. Ma non sono solo i burocrati di Bruxelles a creare provvedimenti che si muovono contro l'enorme potere economico delle pochissime aziende e dei loro prodotti che sono installati in quasi tutti i telefoni del mondo contemporaneo. Pure a Parigi ci ragionano parecchio. Infatti la commissione per la Cultura dell'Assemblea Nazionale Francese ha votato lo scorso 15 febbraio un disegno di legge per estendere i requisiti di verifica dell'età, già obbligatori per i contenuti per adulti sulle piattaforme vietate ai minori come OnlyFans, anche per le piattaforme globali e i social media più tradizionali. Ovvero quei prodotti di aziende private che nell'ultimo decennio dominano l'economia e i telefoni globali: i cugini d'oltralpe hanno votato il primo step e la norma prevede un'inasprimento del divieto VM18 e delle verifica d'età per accedere ai contenuti espliciti e pornografici che sono venduti da una grande moltitudine di cittadine di sesso femminile e una minoranza di uomini su Onlyfans e gli altri servizi personali a pagamento, omologhi e digitali. Nonché la norma sancisce un ritorno del limite VM14, ma non per acquistare giornaletti sconci del finire del secolo scorso, bensì per la loro versione contemporanea negli smartphone: Instagram, TikTok e simili, ovvero le piattaforme il cui principale obiettivo di fatturato sono appunto i consumatori europei minorenni, che il cinisimo del marketing identifica con la fascia d'età "pre-teen".
I legislatori francesi hanno dunque espresso un voto a favore di un maggior obbligo per le piattaforme digitali dei social media, tra cui la maggioranza dei prodotti di corporation globali: Instagram, TikTok, Snapchat e confratelli. La finalità è che tali aziende siano tenute a bloccare l'accesso ai minorenni, con particolare riguardo all'età inferiore ai 15 anni, a meno che questi non abbiano l'autorizzazione espressa dai propri genitori o da chi detiene la responsabilità genitoriale. La commissione Cultura in Francia ha approvato il primo abbozzo del disegno di legge con la proposta che regolamenta la verifica d'età per accedere ai prodotti e ai servizi dei social media: le aziende globali che violano la norma sul territorio francese, potrebbero dunque affrontare dei processi legali da parte dell'istituzione, omologa all'autorità italiana Agcom, con sanzioni pecuniarie che sono previste in percentuale sul fatturato mondiale. Considerata la potenza economica di queste poche aziende del Pianeta, che vantano milioni di consumatori perennemente connessi e volontariamente fidelizzati, come ad esempio l'americana Meta che è proprietaria dei social network Instagram e Facebook, anche se la sanzione francese è solo l'1% del fatturato annuo, non equivale certo a bruscolini. Che mangino dei post. L'altra novità europea arriva invece dall'altra parte della Manica ed è sancita dalla sentenza emessa il 28 febbraio 2023 dalla Corte di giustizia Ue . Nell'isola britannica "Onlyfans" deve pagare l'iva pregressa al regno di Sua Maestà. Infatti l'azienda Fenix, proprietaria del prodotto Onlyfans, che è la più famosa e diffusa piattaforma di vendita di contenuti pornografici personali in digitale, dovrà versare l'iva completa e non solo sulla percentuale (20%) che trattiene dai guadagni dei propri iscritti. Dal 2017 al 2020 Fenix si era autoridotta il pagamento della tassa europea sul valore aggiunto nel territorio UK, ritenendo sufficiente l'iva relativa alla percentuale di un quinto che trattiene dai guadagni di donne e uomini che vendono, agli altri utenti iscritti alla piattaforma, i propri contenuti personali a luce rossa. Ma la sentenza di fine febbraio dalla Corte di giustizia europea afferma a chiare lettere che la piattaforma britannica di contenuti XXX generati dagli utenti e venduti in abbonamento, è tenuta a pagare l'Iva sull'intero importo pagato dai consumatori ai creatori di contenuti, e non solo sul 20% delle rimesse, anche per il periodo d'uscita dall'Unione Europea. Veni, vidi, Brexit.
E in Italia? Tutto tace, nulla si muove: nessuno si accorge di nulla. Tutt'ora in alto mare è la spinosa questione legata al diritto d'autore degli editori (e dei giornalisti) circa la ripublicazione da parte dei più diffusi sistemi digitali d'informazione, come ad esempio Google News e il motore di ricerca Google per il World Wide Web, nonché i social network. Ma sono tante e storiche le diatribe anche per l'uso, senza autorizzazione alcuna, del nostro ampissimo e millenario patrimonio culturale pubblico e nazionale: le opere d'arte che tutti ci invidiano. Nessuno ha chiesto l'iva alle due "creatrici di contenuti" che sono andate a sculettare mezze nude alla Galleria degli Uffizi di Firenze per vendere un video ai prorpi arrapati fan, così come non ci sono notizie di pagamenti da parte di Pornhub per una medesima operazione commerciale. Ma l'ultima storiella, vale come esempio generale: le Gallerie dell’Accademia di Venezia, che conservano l‘Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci, hanno vinto un ricorso contro Ravensburger, azienda tedesca celeberrima per la produzione di puzzle e giochi da tavolo, nell'omonima cittadina bavarese. Lo scorso novembre il Tribunale di Venezia ha decretato una sentenza che condanna i puzzle teutonici: Ravensburger non può utilizzare a fini commerciali l’immagine dell’Uomo Vitruviano, non solo sul proprio gioco da tavolo in vendita, ma nemmeno sui canali commerciali che servono a tale fine: nemmeno sul prorpio sito Web e ovviamente nemmeno su profili e social network. La sanzione prevista dai giudici veneti, costa però meno di una e-bike costruita in Germania: la sanzione penale è di appena 1.500 euro ed è sancita a favore del ministero della Cultura dell'attuale governo italiano. Sottosegretario Vittorio Sgarbi, salvaci tu! Ma non c'è molto da stupirsi se In Italia non riusciamo a tutelare lo sfruttamento economico e l'immagine mondiale del patrimonio culturale pubblico: persino nei nostri tribunali e secondo le nostre stesse norme, l'llecito vale appena l'importo di due mensilità del reddito di cittadinanza. Tanto vale stare sul divano. La spiega è però comprensibile: proprio a Febbraio appena poche settimane fa, mentre il resto dei governi d'Europa si prodigava nei propri parlamenti per tutelare i propri interessi economici e i diritti dei propri cittadini, che sono preda del fatturato di poche aziende globali, in Italia abbiamo pagato con soldi pubblici lo spettacolo dove una famosa "influencer" ha passato molto tempo a fare gratuitamente pubblicità alla piattaforma Instagram, ma sul palco del Festival di Sanremo e in diretta Rai, in faccia a tutta la Nazione e soprattutto negli occhi di 11 milioni di telespettatori seduti a casa, anche noti come consumatori. Il famoso "Tafazzismo" all'italiana, però stavolta è con lo smartphone .