Abbiamo ancora negli occhi la partita di ieri sera, il 2-2 dell’Allianz Stadium tra Juventus e Atalanta che ha confermato, ancora una volta se ce ne fosse bisogno, cosa è diventata la squadra allenata da Gian Piero Gasperini. Abbiamo ancora negli occhi lo sfogo del presidente bianconero Andrea Agnelli dopo il rigore del pareggio siglato da Cristiano Ronaldo, inquadrato rapidamente dalle telecamere mentre esulta rabbiosamente mostrando tutta l’importanza del punto casalingo strappato nel finale. Il pugno stretto dal numero 1 della Juve è emblematico e dice tantissimo della prestazione della squadra lombarda, due volte in vantaggio e vicina al meritato (?) colpaccio finale in casa dei campioni d’Italia, salvi solamente grazie a due calci di rigore. ‘Severo, ma giusto’ è il commento di molti al fischio finale, pure quello di un Gasperini rammaricato a cui l’applicazione del regolamento ha di fatto strappato un successo che avrebbe contribuito a scrivere nuovamente la storia della Dea.
Per rendere un po’ meglio l’idea di ciò che stava per accadere a Torino, basti pensare che la squadra nerazzurra fino a una manciata di secondi dal fischio finale era virtualmente considerata l’unica squadra in grado di strappare dalle mani bianconere l’ennesimo scudetto, quello che sembrava già cucito sulle maglie dopo i recenti passi falsi di Lazio e Inter. Dopo aver preoccupato la Juventus a distanza grazie al filotto di cinque vittorie consecutive, l’Atalanta ha seriamente minacciato la leadership della Juventus nello scontro diretto, un faccia a faccia in cui i bergamaschi hanno per lunghi tratti vestito i panni della squadra dominante. Una supremazia tecnica e psicologica che ha messo in luce tutti i limiti dell’undici allenato da Sarri e le eccellenze di quello ospite, capace di sovrastare i bianconeri per freschezza atletica, soluzioni, possesso palla e conclusioni. Una prestazione talmente convincente che ci porta per l’ennesima volta a domandarci se l’Atalanta possa davvero replicare le performance anche in Europa e magari di arrivare in fondo alla competizione, anche alla luce del recente sorteggio che ha svelato il cammino delle dodici squadre rimaste ancora in corsa.
Se l’Atalanta è capace di tenere testa in questo modo ad una squadra seppur zoppicante come la Juventus, a questo punto nessuno tra gli allenatori ancora in corsa in Europa può permettersi di far finta di niente davanti all’Atalanta e non considerarla la sorpresa più pericolosa di questa stagione così particolare. Guai a sottovalutarla, lo consiglia ancor di più il tabellone ed il calendario ravvicinato: se dalla parte sinistra ci sono ben 26 Champions League a contendersi un posto in finale (tra Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco e Juventus), dall’altro arriverà a Lisbona sicuramente una squadra inedita, alla sua prima di sempre. Tra la Dea e il Da Luz, insomma, solamente due gare secche da disputare, ed è colpa del calcio di Gasperini se abbiamo quell’irrazionalità giusta per non considerarle neanche così proibitive: prima il quarto di finale contro il Paris Saint-Germain fermo da marzo che ha ripreso gli allenamenti da qualche giorno, poi un’eventuale semifinale contro la vincente di Atletico Madrid e RB Lipsia.
Credere all’Atalanta sul tetto d’Europa non è solamente un azzardo, il frutto di una elaborazione numerica o una speranza tutta italiana da cui farsi trascinare emotivamente, ma una constatazione visiva, una continua presa di coscienza, un convincimento continuo: con la partita di Torino la squadra di Gasperini ci ha fatto vedere perchè può giocarsela con tutte, dettando le proprie regole senza timori reverenziali. Quello che emerge dalle recenti gare dei lombardi, sempre più un’eccezione nel calcio di oggi, è la volontà di non adagiarsi sugli avversari, ma anzi di affrontare ogni sfida con un’impronta ben precisa, con il fischio finale come unico limite. C’è il rischio della difesa alta, quello delle marcature che saltano, quello di subire qualche rete di troppo, ma contemporaneamente la consapevolezza sempre maggiore di saper far male a qualsiasi avversario, la giusta mentalità che ha permesso di segnare anche 7, 8 reti in un solo incontro (ne sanno qualcosa i tifosi di Torino, Udinese e Lecce).
I difensori che accompagnano in massa la manovra offensiva, i centrocampisti che si inseriscono, i continui movimenti senza palla, gli acuti dei singoli, di cui davvero sarebbe stucchevole stare a parlare ad uno ad uno esaltandone la crescita: nel corso di questa stagione l’Atalanta ha potuto vantare nel proprio arco di soluzioni anche la grande risorsa della panchina lunga, con giocatori capaci di cambiare gli incontri a gara in corso come hanno fatto i subentrati Muriel e Malinovskiy a Torino. Segnare così tanto non servirà ai nerazzurri a riscrivere parecchi record che sembravano inarrivabili per una provinciale (uno su tutti quello di gol complessivi in una stagione di A, che di questo passo saranno più di 100), ma è l’unica chiave per avere successo in Europa. Ricordate la Juventus, che arrivò in finale nel 2017 con la difesa migliore del torneo e che poi fu annichilita dal Real Madrid? Ricordate com’è finita alle squadre passive, concentrate a speculare e a non prenderle più che a darle, vedi l’Atletico Madrid sconfitto in entrambe le finali recenti? La Champions League è un premio per chi ha iniziativa, per chi non ha paura di creare tanto, per le storie spettacolari e i collettivi strabordanti, per le squadre che fanno pochi calcoli e hanno solamente voglia di mostrarsi. Tutte caratteristiche proprie dell’Atalanta.