Sugli spalti del Centrale di Wimbledon, nella semifinale giocata contro Hubert Hurkacz, Matteo Berrettini era solo. Sugli spalti c'era tutta la sua famiglia, il suo allenatore, la sua fidanzata Ajla Tomljanovic, il padre, consumato dall'ansia, che per tutta la durata dei quattro set giocati dal figlio ha distrutto il cappello da baseball che portava, schiacciandolo, nascondendocisi sotto, come a non voler vedere il figlio sbagliare, combattere, urlare.
A guardarlo anche David Beckham, Daniel Ricciardo, qualche decina di altri vip e qualche centinaia di migliaia di italiani, tutti ipnotizzati dall'impresa, impossibile anche solo da sognare, di questo ragazzo da record.
Eppure, Matteo era solo. John McEnroe diceva che il tennis è lo sport più solitario di sempre: "Quando gioco sono solo, allo sbando, e lotto fino alla morte davanti a spettatori che mangiano panini al formaggio, controllano l'orologio e chiacchierano sull'andamento della Borsa con l'amico seduto accanto".
Non c'è niente, che descriva la lontananza di questo sport come questa frase detta dall'uomo, dal campione, che più di tutti la soffriva. Perché il Centrale di Londra, con l'erba perfetta e i completini bianchi indossati per tradizione, si trasforma nel Colosseo, se quello dentro sei tu. A combattere mentre la gente lontana guarda, commenta, esulta o insulta. E tu sei lì, che non puoi abbracciare nessuno dopo la vittoria di un set, come i calciatori dopo un goal, non puoi correre dall'allenatore a chiedere, a prenderti una strigliata, a supplicare un cambio. Tu giochi, gli altri possono solo guardare.
Allora anche se quello di Matteo è un sogno impossibile, di un Davide contro il Golia di questo sport, il 19 volte vincitore di uno Slam Novak Đoković, domenica Berrettini lotterà per un'impresa italiana. E Sergio Mattarella, che sarà a Wembley per supportare la Nazionale di calcio nella finale degli europei contro l'Inghilterra, dovrebbe andare anche a Wimbledon.
Domenica pomeriggio dovrebbe starsene seduto sugli spalti di quel sacro campo Centrale, come rappresentanza di tutti noi, che nel solitario gioco del tennis - almeno questa volta - Matteo Berrettini non lo lasceremo solo.