Se non vuoi perdere, non credere di aver vinto. C'è tutto Jannik Sinner dentro la frase con cui GQ Italia presenta al grande pubblico la stella del tennis che verrà, in un servizio da copertina pubblicato nei giorni che precedono l'inizio di Wimbledon, terra sacra del tennis internazionale.
C'è la semplicità dei suoi 19 anni ma anche quella determinazione che, una volta sceso in campo, sembra servirgli la battuta perfetta per evadere dalla sua timidezza. Alto, magro, i capelli rossi e le lentiggini che arrivano fino al sorriso. I tratti che ricordano le sue origini, le valli e quel silenzio che è stato costretto a lasciare troppo presto, per inseguire un sogno che oggi conoscono tutti. "Ogni tanto mi manca il silenzio" racconta nell'intervista rilasciata a GQ, e sembra quasi di averlo sempre saputo. Che una parte di Jannik sta ancora là, dov'era una promessa dello sci, prima che il tennis scegliesse lui.
Uno sport che in Italia sta rinascendo grazie a una generazione di talenti che ci fanno già divertire, antipasto di un futuro che porterà i nostri colori. Lorenzo Musetti che piega Novak Đoković per due set a Roland Garros, Matteo Berrettini che arriva a Wimbledon come vincitore del Queen's e poi Lorenzo Sonego, Marco Cecchinato e, ovviamente, Jannik Sinner.
"Danzatore solista" come ogni tennista che si rispetti. Destinato a quella solitudine degli sport individualisti, e condannato al tennis che - come diceva John McEnroe - "ti costringe a lottare fino alla morte mentre gli spettatori mangiano panini al formaggio".
Sinner racconta a Giovanni Audiffredi su GQ questa maratona di solitudine, corsa fin da piccolissimo quando a 13 anni si trasferì a Bordighera: "Non ho mai pensato di tornare indietro, malgrado fosse molto dura. Ero determinato. Mi inserirono a casa di Luka Cvjetkovic, allenatore croato. Aveva due figli e un cane, mi sentivo in famiglia. Cambiarono i ritmi della mia vita. Non ero abituato ad allenamenti lunghi. Le prime due settimane mi addormentavo subito. Quando sei piccolo ti preoccupi meno. Sono gli adulti a farlo per te. Io ero più grande di Frano e Jana e mi sentivo il maggiore di casa. In quegli anni ho imparato a centellinare le energie mentali".
Non è tristezza, quella negli occhi un po' malinconici di un ragazzo che ha la consapevolezza di aver rinunciato a tanto, a tutto, per raggiungere il suo obbiettivo. E' razionalità. Foga nel gioco, l'agonismo che solo un agonista può avere, ma testa e cuore fuori dal campo.
C'è chi ci mette tutta la vita per conquistare il controllo di sé, e c'è invece chi ci nasce e basta.
"Il tennis è una questione di emozione. Non sono sempre tutte belle. A volte uno in campo si innervosisce, urla da solo, a se stesso. Ma si deve imparare a gestire questa energia. Non è colpa dell'avversario, la colpa è tua".
Estetica che si unisce all'etica, diversità, consapevolezza. Parole che ricorrono spesso, nella mente di chi lo guarda e nelle parole di chi lo descrive. Un agglomerato di curiosità che ha colpito anche Alessandro Michele, designer di Gucci, da sempre alla ricerca di un'originalità che si discosti dal semplice flusso della moda. Ha colpito anche lui, che nello shooting realizzato con GQ a firma del fotografo Philip Gay, regala a Jannik gli abiti giusti per la sua personalità fuori dal comune.
"Nel tennis siamo tutti diversi - spiega Sinner, come a voler mettere in fila ciò che rende il suo mondo così anomalo nella sua bellezza - mancini, destri, alti, bassi, lenti, veloci, giovani, vecchi, ci sono tutte le razze, le nazionalità, le religioni. Questa ricchezza rende il tennis un crogiolo di contaminazioni positive".
Guazzabuglio culturale in cui Jannik è cresciuto, tenendo una parte del sè bambino, e diventando oggi uno dei volti più interessanti dello sport di domani. Consapevolezza del talento, avversione per la banalità. Danzatore solista e incantatore, in campo e fuori.