Gennaio 2018. Roger Federer, 36 anni, sta giocando la finale degli Australian Open contro Marin Cilic che, di anni, ne ha quasi dieci in meno. Il tennis è uno sport logorante, difficilissimo andare oltre i 35 e restare a grandi livelli. Ma Federer è il Re, e in Australia porta a casa il suo 20esimo Grande Slam.
Da qualche parte Valentino Rossi, due anni più vecchio dello svizzero, sta guardando il suo idolo. Non ha mai nascosto la profonda ammirazione per Federer e, a qualche giorno di distanza dalla finale australiana, dirà: "Ho visto la sua partita. È lo sportivo che mi ha ispirato di più e, in un certo senso, siamo nella stessa situazione perché entrambi affrontiamo atleti molto più giovani di noi. Ogni volta che vince, mi dà un po' di forza".
A tre anni di distanza da quell'ultimo Grande Slam conquistato le cose sono cambiate per entrambi ma, in un certo senso, sono anche rimaste le stesse. Valentino Rossi continua a correre in MotoGP, alle prese con una stagione in salita e il chiodo fisso di chi lo vuole ritirato, finito, dimenticato.
Roger Federer, tornato a giocare lo scorso marzo dopo 401 giorni di stop dovuti a un infortunio al ginocchio, e due operazioni, cerca di rimettersi in campo a tutti i costi per quello che lui stesso definisce "l'amore della sua vita". Gioca una partita di oltre tre ore e mezza, faticosa, fenomenale, sulla terra rossa di Roland Garros, vince e poi si ritira, lasciando passare a tavolino il nostro Matteo Berrettini.
Il tempo che passa per tutti, anche per loro, li insegue senza sosta. Non sembra bastare la passione, il lavoro maniacale, l'allenamento fisico e mentale. Federer che lascia il campo da tennis, Rossi che scivola sulla ghiaia tentando di entrare, almeno, nella zona punti della classifica. Ma anche Fernando Alonso che rientrato in Formula 1 dopo due anni di stop fatica a riprendere il ritmo, a confrontarsi con chi ha quasi vent'anni meno di lui, tutto da dimostrare e niente da perdere.
E' il conto da pagare di questi grandissimi che, scegliendo di non ritirarsi all’apice della carriera, hanno accettato di convivere con la fase decrescente della loro parabola sportiva.
Insostenibile, secondo alcuni, vedere cadere le divinità. Alonso che non si sentiva mai secondo a nessuno, Rossi con il ghigno soddisfatto di chi non aveva rivali, Federer che dopo ore di gioco neanche sudava. Insostenibile per chi, nella tenacia del loro lavoro, non sa leggere la devozione che tutti dovrebbero avere per ciò che si ama davvero.
Forse non conoscono i propri limiti, forse neanche li conosceranno mai. Troppo impegnati a sfidare tempo, pregiudizi, altrui delusioni. A guardarsi tra leggende, e darsi forza nei successi come vecchi leoni nel Colosseo.
E anche questo fa parte della loro grandezza, al pari di quelle vittorie di gioventù di cui tutti abbiamo goduto.