Quando Björn Borg lasciò il tennis nel 1981 la sensazione generale fu quella di una sorpresa inevitabile. Ossimoro, come la vita intera del campione svedese. Aveva solo 26 anni, una carriera ancora davanti fatta di trofei, vittorie e tornei. Ma era stanco di tutto, glielo si leggeva nei solchi di un viso troppo teso, anche nelle gioie dei successi.
Era stanco di sfidare John McEnroe, soprattutto dopo la tristezza dell’ultima sconfitta alla finale degli US Open 1981, ma forse era anche stanco di vincere. Non cercava lo stimolo, la rivincita, il confronto. Non era più l'attaccabrighe che con McEnroe ha riempito le pagine più belle dell’era d’oro del tennis mondiale.
Svuotato dopo un’apnea durata 10 anni, una valanga di successo e fatica iniziati a 15 anni, quando giocò una partita di Coppa Davis contro gli adulti, e riuscì a sconfiggere il neozelandese Onny Parun.
Era una macchina, un bambino problematico e irascibile a cui venne insegnato che il modo migliore per incanalare la rabbia doveva essere quello di spingersela dentro, il più a fondo possibile. Per questo lo chiamano robot, per questo in campo era tutto l’opposto del suo avversario americano. Ma erano uguali, lo sono sempre stati: uno si urlava dentro, l’altro urlava fuori.
Proprio per questo i risultati di uno sport logorante come pochi in Borg si videro presto e non lo portarono solo al ritiro, ma anche a una vita in cui non c’era più il tennis a tenere in ordine i dritti e i rovesci dentro al campo.
Quando giocava si portava dietro ossessioni strane, manie che lo aiutavano a mantenere la calma e la pacatezza diventate il simbolo del suo soprannome: le racchette di scorta, rigorosamente in legno, tirate al punto giusto, le stesse stanze di hotel, la stessa macchina noleggiata ogni volta. L’ordine che dava senso alla scalata verso il successo, e che teneva premuto in basso tutto quel guazzabuglio umano che tentava la risalita.
Neanche a dirlo finita la giostra di applausi e vittorie tutto quello che poteva ribollire fuori, lo fece. Arrivò il tempo delle droghe pesanti, dei problemi economici e delle storie d’amore ingobranti. La più famosa, almeno per l’Italia, fu quella con Loredana Bertè. I due si conobbero nella Parigi di Roland Garros, nel 1973. Björn era un bambino, sedicenne dal futuro tutto da scrivere di cui i giornali già parlavano con entusiasmo.
A Roland Garros Loredana c’era andata con Andriano Panatta, stella del tennis italiano e suo fidanzato di allora, che si trovò a sfidare questo ragazzino svedese tanto chiacchierato. Lo sconfisse senza problemi, e a fine match gli presentò la cantante. Finì così, con una stretta di mano sugli spalti di Roland Garros.
La storia con Panatta si concluse quell’anno, i due presero strade diverse e il destino della cantante colpì di nuovo il mondo del tennis solo nel 1988, quando incontrò casualmente Björn a Ibiza. Da lì l’amore folle e la fortuna dei giornali scandalistici italiani che per anni inseguirono la coppia ribelle, simbolo di un amore fatto di eccessi. Borg si portava addosso i resti di un matrimonio durato tre anni e un figlio avuto da una modella svedese, Loredana gli strascichi del matrimonio naufragato con il milionario Roberto Berger.
Così inizia la vita a Milano, Londra, Stoccolma, le liti trainate dall’eccesso di cocaina e quei presunti tentati suicidi che li legheranno e segneranno per sempre. Il primo è quello di lui, che nel febbraio del 1989 dopo una lite con la fidanzata ingerisce 60 pastiglie di Roipnol, un potente sedativo, e viene ricoverato in ospedale. I due si sposeranno nel settembre dello stesso anno, divorziando poi nel 1992. Un anno prima, nell’aprile del 91, il tentato suicidio di lei: stesso modus operandi, troppe pastiglie di Roipnol e un ricovero d’urgenza a Milano.
Le loro strade si divideranno, tra future accuse di bigamia e confessioni di eccessi, ma la vita di Borg prenderà altre vie. Björn in svedese significa orso, e quell’atteggiamento solitario scritto a caratteri cubitali dentro il suo personaggio a un certo punto della sua parabola lo salverà. Perché quella dell’iceman del tennis sembrava una storia dal finale unico: troppo e subito, e nel modo sbagliato, in un destino che porta verso il precipizio.
E invece no, a un certo punto della sua esistenza Björn ha iniziato a palleggiare senza agonismo, e a competere nella vita senza il bisogno di essere il migliore, il primo, il più forte. Ha imparato il significato del gioco, dell’amicizia decennale con il rivale di sempre McEnroe, dell’amore e della famiglia. Ma il segreto è tutto suo, mentre noi da qui ancora cerchiamo di leggerlo dentro.
Compie oggi 65 anni un mito che il mondo del tennis non ha mai davvero capito. Trapezista biondo sempre su un filo che divide eccessi e autocontrollo, lavoro e vizi, amore e ossessione. Incomprensibilmente Björn Borg.