È il giovedì delle interviste al Mugello, circuito con cui Fabio Di Giannantonio ha sempre avuto un rapporto intimo, forte. D’altronde è qui che ha portato a casa il primo podio in carriera (in Moto3, nel 2016) e la prima pole in MotoGP lo scorso anno. Ci sediamo su di un tavolino fuori dall’hospitality Gresini, mentre il paddock comincia a riempirsi. A Fabio piacciono gli orologi, oggi indossa un bell’Oris Aquis Calibro 400: inutile dire che i piloti hanno una certa predisposizione all’idea di misurare il tempo. Ne parliamo per un po’, la sensazione è quella di trovarsi davanti ad un pilota con una vita molto più grande rispetto a quella che si può fare dentro ad un circuito.
Fabio, il Mugello è la tua pista: l’anno scorso qui hai fatto la pole in condizioni critiche, condizioni che potremmo rivedere anche questo sabato.
“Sì, l’anno scorso abbiamo fatto una bella cosa, adesso l’importante è continuare a crescere. L’obiettivo è continuare a stare in top 10 e fare un bel lavoro da subito, il venerdì è molto importante: il gol vero qui è partire davanti, perché puoi anche avere il passo dei primi ma se parti indietro rimani lì. Io vado molto forte nelle curve in cui c’è bisogno di fare percorrenza, questa è una pista in cui devi portare tanta velocità, farla scorrere tanto”.
È rimasta celebre la tua intervista, qui al Mugello, in cui Zoran Filicic ti chiede come togliere tre decimi, a cui tu rispondi con ‘la figa, solo la figa’. Adesso che risposta daresti?
“Beh, ma quello è un sempreverde! Diciamo che in MotoGP è un po’ più difficile, meno scontato, però ora sono fidanzato e lei mi aiuta in un altro senso, riesco a stare un po’ più sul pezzo”.
In che fase della guida ti senti più forte degli altri?
“Quest’anno sono migliorato tantissimo in frenata, soprattutto in prova sono tra i migliori, mentre in gara ci manca ancora qualcosa. Storicamente sono sempre stato un pilota che va molto forte in percorrenza, quindi piste come il Mugello mi riescono molto bene, riesco a portare molta velocità”.
Sei l’unico in MotoGP ad avere le manopole bianche sulla moto: come è nata questa storia?
“Ai tempi della Moto3 avevamo una moto molto fine, fighetta (la Gresini Del Conca, ndr.). Al mio capotecnico, Fabrizio Cecchini, piacevano le cose un po’ particolari. Volevamo fare qualcosa di diverso, così abbiamo iniziato con il paraleva bianco, che era figo perché tutti gli altri ce lo avevano nero, in carbonio. Da lì abbiamo chiesto a Domino le manopole bianche e loro le hanno fatte solo per me! Adesso sono in commercio, ma sono una Diggia Edition e le ho tenute perché è una cosa che ho solo io. Quando vedi la moto con le manopole bianche, anche senza numero e senza scritte, capisci che è la moto di Diggia”.
Sei mai stato in orbita Academy VR46?
“No, sinceramente no. Ma io ho grande stima e rispetto per loro, se avessi dodici, tredici anni sarebbe una mano enorme, perché ti regalano un pacchetto già pronto e un metodo che magari io mi sono costruito col tempo, quindi credo che facciano un lavoro incredibile. Anche se non ho mai avuto modo di interagire direttamente con quella realtà”.
Senti, qual è la più grande rinuncia che deve fare un pilota di MotoGP per correre?
“Io ho tante passioni, mi piacerebbe fare tante cose nella vita. Però chiaramente non ho tempo libero, quando fai il pilota della MotoGP - ma in generale il pilota professionista - la cosa ti prende tanto tempo, è un lavoro effettivo perché a casa tra fisioterapista, allenamenti ed eventi hai sempre l’agenda piena. Mi piacerebbe un sacco prendere il brevetto per il paracadute per buttarmi da solo, prendere quelli da sub per andare sott’acqua o la patente nautica per andare in barca chissà dove…”
Andresti anche a vela?
“Inizierei a motore, però io sono uno che prova”.
E con il paracadute, ti sei già lanciato?
“No, mi manca. Ma voglio farlo perché secondo me è una delle poche cose che ti portano ai livelli di adrenalina che puoi provare in moto, anche se in moto è più uno stato mentale che una scarica di emozioni. In moto mi sento a casa, mi sento a mio agio. Forse il brivido è lo stesso”.
Il problema di quando ti lanci con il paracadute è quando devi buttarti dall’aereo: loro aprono la porta e ti invitano a lanciarti, lì ti si ferma il cuore. In MotoGP, secondo te, quando si prova quella sensazione? In partenza? Quando se ne va l’ultimo meccanico?
“Potremmo paragonarlo a quando ti lanci per il giro da qualifica. Quello per me è una cosa fighissima, pazzesca. Entri in uno stato surreale, perché devi fare tutto di più: frenare più forte, entrare più forte, girare prima con la moto, è una cosa che va fuori dal normale. Tu lo fai perché sei in qualifica, ma vai oltre a quello che vorresti fare”.
Quindi la vera tortura è fare il secondo run.
“Ci si prova, però è difficile perché ti richiede tanta energia, specialmente mentale. E questo ti stanca tanto, perché devi proprio andare oltre”.
Qualche tempo fa hai scritto un lungo post sui social in cui - potremmo riassumere - parli di punti di vista: bisogna sempre considerare da dove si è partiti, dove si è, dove si vuole arrivare. Hai fatto un percorso con uno psicologo o sei più che altro uno che ragiona tanto sulle cose?
“Sono una persona molto riflessiva, almeno secondo me. Però sì, mi fermo a pensare tanto alle cose. Io sono andato via di casa a 17 anni, un po’ per lo sport e un po’ per altri motivi, ma per questo ho dovuto crescere in fretta. Oggi cerco di diventare la miglior versione possibile di me. Poi non sono mai stato seguito da uno psicologo, ci ho pensato perché magari potrebbe aiutarmi ad andare ancora più a fondo nei miei pensieri, però non ho ancora avuto occasione”.
Che rapporto hai col denaro?
“Io ho iniziato a correre per passione, come fosse un gioco. E andando avanti, pur restando passione e gioco, è diventato un lavoro. Personalmente ho un bel rapporto coi soldi, non che ne abbia fatti tanti - molti meno di quanto si pensi - perché in realtà in MotoGP per farne tanti devi vincere veramente tanto. È una cosa che qui fuori nessuno pensa e nessuno sa, anche se è decisamente vera. Io me la vivo bene, penso che a prescindere da quello che farò in MotoGP potrò riuscire a fare qualcosa nella vita, quindi sono molto sereno. Poi è chiaro che qui ti fai il culo, più vai forte più puoi avere un ritorno che ti fa stare bene. Io non vengo da una famiglia ricca, zero. I miei hanno venduto l’azienda di famiglia senza prendere chissà quanti soldi e adesso cerco di dare un po’ una mano a casa. Ovviamente un pensiero sul denaro ce l’hai sempre, però cerco di gestire”.
Si parla molto di un tuo passaggio alla Superbike.
“È una gran cagata”.
Ah.
“Diciamo che i termini del mio contratto non li posso dire, ma al momento il mio percorso è in MotoGP”.
Se ti chiamasse Ducati Aruba per salire sulla moto di Alvaro Bautista che diresti?
“No comment”.
La tua serata di festa perfetta?
“Fai il podio, vinci la gara… e vai con i tuoi amici e la gente del team a fare una serata giusta, bella potente”.
Una che ti ricordi bene, anzi male?
“Ah , Barcellona 2019. Ero terzo in gara e mi sono steso, ma era il mio primo anno in Moto2 e la prima volta che stavo con quelli davanti. Mi stendo e torno al box con un misto di sensazioni addosso: ok, l’ho lanciata, ma ci siamo. Così io e il mio manager decidiamo di festeggiare come se avessimo portato a casa il podio. Abbiamo fatto una serata pazzesca, forse al Carpe Diem, che ne so, non mi ricordo. Ma è stata una serata fighissima”.
Di tutto il calendario quali sono i migliori GP per questo tipo di situazioni?
“Allora, le gare in Spagna sono sempre una bomba. Poi è anche vero che l’ambiente è un po’ cambiato, ora se ne fanno un po’ meno. Mugello, Misano, Barcellona e Valencia sono quelle che mi vengono in mente per prime. Ah, e l’America! Noi non facciamo tante feste, anzi ne facciamo davvero poche. Però in quelle lì scarichiamo tutta la tensione e ci divertiamo. Abbiamo tutti vent’anni”.
Sei fai il podio al Mugello?
“Porca puttana, tiriamo giù tutta l’hospitality. E travestiamo Cristian (Massa, press officer Gresini Racing, ndr.) da donna, col trucco e tutto”.