Seduto nel retropodio dell'Autodromo Hermanos Rodríguez Lewis Hamilton guarda un replay della gara appena conclusa e vede Fernando Alonso tirare calci all'aria, devastato dall'ennesimo ritiro per problemi tecnici di questa stagione con Alpine. Lo vede, lo guarda, lo riconosce. Sono animali con i nervi esposti e le emozioni allertate, abitanti dello stesso mondo fatto di competizione, adrenalina, velocità. Si studiano, si capiscono, si vedono dentro l'altro.
Non fa nessun gesto, Lewis Hamilton. Non si lascia andare a nessuna espressione, segno di un'emozione che verrebbe tradotta dai giornali, usata per rimescolare le acque del loro già complicatissimo rapporto. Fermo immobile, Hamilton guarda Alonso. Guarda la rabbia, la frustrazione di un campione che nella sua carriera ha raccolto molto meno di quello che avrebbe meritato, la grinta di un 41enne che in mezzo alla noia di quello che forse è stato il Gran Premio più noioso di tutta la stagione ancora ci regala la gestualità di chi vive per questo.
Lo guarda, Lewis Hamilton, e ci vede ciò che conosce. Ciò che sa di Alonso, suo avversario di sempre, nemico dai tempi del suo esordio in Formula 1 con McLaren, avversario durissimo contro cui scontrarsi, personaggio ancora più tremendo da comprendere, gestire, provare anche solo a capire. Ciò che sa di un quarantenne devoto alla velocità, di un uomo che non si è mai arreso e che nel suo carattere ha trovato forza e disperazione, motivo per proseguire e maledizione di non riuscire a smettere. Lo guarda, Lewis Hamilton, e vede ciò che anche di sé stesso conosce. La stessa fame che dopo sette titoli mondiali lo riporta sempre lì, nel retropodio ad aspettare di poter sollevare un trofeo. A lottare contro ragazzini terribili di una nuova generazione, a non arretrare mai.
Si studiano a vicenda, dentro le dichiarazioni, i non detti, i troppo detti. Alonso imbufalito per un incidente a Spa che grida via radio "questo ragazzo sa guidare solo quando parte davanti agli altri", Hamilton che risponde facendogli recapitare un cappellino firmato. Lo spagnolo che dice "i suoi titoli valgono meno di quelli di Verstappen", l'inglese che replica con una ironica fotografia su Twitter aggiungendo, in un'intervista, che "fuori dalla Formula 1 lui ha una vita pronta dopo il ritiro, Alonso no". E poi le scuse, la pace, le pacche sulle spalle. L'antipatia che macera sul fonto della loro carriera da tempi antichi e che no, non se ne va.
Non si piacciono, non si sono mai piaciuti e forse non si piaceranno mai. Ma si riconoscono, fatti della stessa pasta di campioni terribili, permalosi, schiavi di un'adrenalina che a quarantanni non li molla, non li rende diversi da quei piccoli futuri campioni con cui sono chiamati a fare costantemente i conti. Si assomigliano, Fernando Alonso e Lewis Hamilton. Diversi, diversissimi, uguali lì dove i nervi sono scoperti e le emozioni allertate.