84 millesimi. Max Verstappen non lascia niente di incompleto sulla sua strada. Anche quando la pole position sembrava già essere nella mani di Fernando Alonso, con il box Aston Martin esploso di abbracci carichi di una gioia trattenuta, l'olandese campione del mondo ha giocato l'ultimo colpo, prendendosi il miglior tempo e il primo posto nel Principato staccando Alonso di soli 84 millesimi. Cos'è, quel decimo scarso, nella carriera di un pilota che ha dovuto fare i conti con il tempo e la pazienza per tutta la sua vita? Un attimo, lo spiraglio di una possibilità già dimenticata.
Alonso si toglie il casco, ride, e va a congratularsi con Verstappen. Si piacciono, quei due. E un po' di assomigliano. Davanti alle telecamere alza le spalle: "Certo, quando ho visto il distacco con Max ci sono rimasto un po' male. Ma poi ho pensato a dove eravamo pochi mesi fa e al fatto che adesso siamo in prima fila a Monaco". Va bene così, dice Alonso. Anzi: è tutto perfetto così.
Per lui, lui che sembrava essere ad un passo da un nuovo ritiro fino allo scorso anno, deluso dalle prestazioni in Alpine, quello che sta vivendo con l'Aston Martin è il sogno di un ritorno in cui ha sempre sperato. Perché il talento dello spagnolo non è mai stato messo in discussione, in neanche un giorno della sua carriera, ma le scelte, il tempo, le occasioni perse e quelle prese nel modo sbagliato, hanno segnato in modo indelebile le curve della sua vita in Formula 1. Avrebbe potuto raccogliere molto più di quanto ha seminato, avrebbe potuto ottenere i titoli di Vettel, di Schumacher, di Hamilton, di tutti quei grandi a cui Fernando appartiene.
Eppure la sua storia doveva essere questa. Perché Alonso non assomiglia a nessun altro e anche la sua carriera doveva prendere una strada diversa, una via simile a lui. Lui che ha litigato con chiunque, che è scappato, è tornato, ha fatto e detto qualsiasi cosa. Lui che fuori dalla Formula 1 ha vinto due volte la 24 Ore di Le Mans, ha corso una Dakar, ha partecipato alla 500 Miglia di Indianapolis. Lui che, lo ha ammesso, ha una debolezza: "La vita lontano dal motorsport mi spaventa, non so stare a casa sul divano". E che fuori da lì, dalle monoposto e dall'adrenalina che gli provocano, non si conosce.
Proprio lui, Fernando Alonso, appartiene alla storia che ha scritto. Nel bene e nel male, dentro a tutte le scelte che oggi - a 41 anni compiuti - con ogni probabilità rimpiange, rinnega, ripudia. Ma non importa. Oggi niente di quello che ha fatto, anche sbagliando, importa più.
Perché la passione con cui insegna a tutti il valore del sua resistenza è un premio più grande di tutti i numeri che non ha portato a casa. Saranno anche solo due i suoi mondiali vinti, sarà anche da un decennio che non vince una gara in Formula 1, e sì: sarebbe stato bellissimo - per tutti e per lui in primis - vederlo in pole a Monaco in un sabato di follia nel Principato. Ma va bene così. Perché la storia di Fernando ci insegna di che cosa è fatta la passione, quella vera. Quanti sacrifici valga, quanti anni di silenzio e di difficoltà possano essere necessari per tornare al vertice, dopo quanto tempo le luci del successo possano tornare a illuminare una strada che sembrava ormai conclusa.
È una storia di lavoro e di dedizione, ma anche di strafottenza e consapevolezza. È una storia che assomiglia a lui, che su di lui è stata scritta con - o senza - il suo permesso. Una storia che vale l'attesa, di 84 millesimi come di dieci anni. E che no, non è ancora finita.