C’è una foto nella storia delle corse in moto che probabilmente è passata davanti agli occhi di chiunque prima o poi nella vita. Racconta di un motociclismo che non c’è più e di una meravigliosa Benelli nell’iconica livrea grigio e verde, con il numero 1 sul cupolino, in piena piega e con sopra un pilota in tuta nera e casco verde, oltre agli immancabili occhialetti.
Quel pilota è Kel Carruthers e la foto è del 1970. L’anno prima, nel 1969, l’australiano aveva portato quella Benelli sul tetto del mondo, vincendo il titolo 250 e diventando, di fatto una delle icone del marchio pesarese. Ecco perché oggi, per qualche minuto, la Pesaro dei motori è calata nel silenzio, visto che la stampa di mezzo mondo – compresa gran parte di quella italiana – ha riferito della morte del pilota australiano. Ma non era vero. Anzi: Kel Carruthers è vivo e vegeto e a farlo sapere è stato il figlio che, sui social, ha repostato molti degli articoli pubblicati in queste ore, bollandoli come prove del “solito giornalismo”.
“Papà è in vita e sta bene. Per favore, fate sapere alla gente quanto falsa sia questa notizia" – scrive il figlio dell’australiano, dalla sua residenza in California. E’ lì che adesso vive Kel Carruthers che, probabilmente, starà pure facendo gli scongiuri dopo essersi ritrovato compianto ben prima del tempo. Una storiaccia che sicuramente non fa onore a questo giornalismo in cui la fretta del click porta spesso a non verificare abbastanza le notizie, ma anche una storiaccia che fa da grimaldello per raccontare ancora una storia che invece è pazzesca.
Quella di Kel Carruthers, appunto, nato a Sidney nel 1938 e a tutti gli effetti padre di tutti quei motociclisti australiani che negli anni a venire hanno reso grande il motorsport su due ruote. Le vittorie, il mondiale vinto con Benelli, il Tourist Trophy da pilota e poi la lunga avventura nelle corse in moto da manager, con talenti scoperti nella sua Australia e negli USA: fu lui a portare un certo Kenny Roberts in Yamaha.