Immaginatevi di ascoltare Nessun dorma senza l’acuto finale. Ed eccovi senza nessuna alba e pure nessuna vittoria. Immaginatevi di guardare Fight Club senza grattacieli che crollano e senza Where is my mind dei Pixies che parte in sottofondo. Immaginatevi il Festival di Sanremo che alle due di notte vi dice che non ci sono vincitori, perché ha vinto il bel canto. Immaginatevi sotto l’ombrellone ad agosto a leggere un thriller ma le ultime venti, fondamentali, pagine si sono incollate con la crema solare.
Tanto nelle storie, quanto nello sport è il finale a dare una senso al tempo precedente, ma questo non devono pensarlo all’UCI – Unione Ciclistica Internazionale - perché a partire dal prossimo 21 gennaio, quando in Australia inizierà il Tour Down Under che darà il via alla nuova stagione ciclistica, ai corridori (grazie alla modifica dell’articolo 2.12.007 del regolamento) sarà vietato alzare le braccia sul traguardo in segno di vittoria.
Detto in altre parole: i ciclisti non potranno staccare le mani dal manubrio per festeggiare, pena esclusioni, squalifiche e multe. Di fatto questa nuova regola rischia di cancellare in un colpo solo una delle immagini più emblematiche del ciclismo. Quella della vittoria. Come riporta il Corriere della Sera l’UCI avrebbe precisato off the record – rifiutandosi però di scriverlo nel regolamento – che questo divieto non riguarda il vincitore, ma soltanto quei compagni di squadra che - arrivando distaccati e magari in mezzo a un più nutrito numero di corridori - lo celebreranno. Facile però immaginare che la regola possa essere soggetta alle più disparate interpretazioni e dunque riguardare anche i vincitori.
È probabile che ognuno di noi abbia ben chiara la scena di un arrivo solitario in montagna. La gestualità è la solita: piccola e quasi sacra. Il ciclista negli ultimi cinquecento metri si gira un paio di volte in cerca di un contatto visivo con gli inseguitori e se questi sono a una distanza di sicurezza inizia a sorridere, si sistema la maglia tirando su la zip, mostra i colori della squadra e anche il nome degli sponsor e poi hop! eccolo sotto il traguardo con le braccia al cielo, staccate da quella bici con cui sono state tutt’uno per centinaia di chilometri.
A memoria e senza andare troppo lontano nel tempo ricordiamo Nibali che porta la mano sul casco a formare la pinna dello Squalo (il suo soprannome), Bettini che scocca luna freccia, Sagan che impenna o imita Hulk (per gli amanti Marvel) o Pidcock che si allunga prono sul sellino e imita Superman (per gli appassionati DC) e poi la sempreverde, meno ragionata, ma molto più coinvolgente reazione di Marco Pantani che distrutto dalla fatica apre le braccia e chiude gli occhi in una sorta di passione di Cristo su due ruote. Difficile far pace con l’idea che tra una settimana potremmo non vedere più nulla di tutto questo.
Ovviamente la nostra difesa dell’esultanza non può dimenticare i più o meno grandi “incidenti” avvenuti sul traguardo. Stiamo parlando di quei corridori che alzando le braccia troppo presto hanno lasciato tempo e spazio agli avversari che con poderosi colpi di reni gli hanno soffiato la vittoria al fotofinish. Anche questi attimi fantozziani fanno parte del ciclismo e rischiamo di non vederli mai più perché chi alzerà le braccia al cielo potrebbe essere declassato all’ultimo posto, ricevere un’ammonizione (alla seconda scatta la squalifica per una settimana) o addirittura vedersi togliere fino a un quarto dei punteggi del ranking mondiale. Forse troppo.
Sui motivi che hanno portato a questa scelta pesa sicuramente la necessità di aumentare la sicurezza degli atleti in gara. volata delle tappe pianeggianti si sfiorano (e spesso si superano) i 70 chilometri orari. Non alzare le mani da una bici lanciata a quella velocità che si appoggia su due ruote spesse un centimetro potrebbe anche avere senso. Ma un caso non può diventare la regola. Oggi sembra impossibile pensare che venti anni fa i ciclisti correvano senza casco gettandosi in discesa o inserendosi tra una bici e una transenna in volata. Magari tra venti anni anche questa regola sarà apprezzata e ai nostri figli sembreranno strani quei ciclisti che esultavano al traguardo. Suona strano, ma potrebbe essere. Fino a quel giorno però ci arroghiamo il diritto di alzare le braccia al cielo al traguardo, in attesa di indossare la maglia e baciare le miss.