Ah, Montecarlo. Sulle stradine tortuose del Principato, prima che le monoposto di Formula 1 sembrassero degli elefanti in una cristalleria, perché troppo veloci e ingombranti per la pista, sono state scritte pagine indimenticabili del motorsport. Come il giro perfetto in qualifica nel 1988 di Ayrton Senna, che fu capace di dipanare le curve del tracciato facendole diventare un rettilineo in cui estrarre il massimo, sfiorando i muretti e il confine che lo separava dall’errore, come se fosse in trance. E come Ricardo Rosset, autore di una prestazione altrettanto memorabile dieci anni più tardi.
Ma non è il caso di spoilerare quel giro in qualifica nel ruggente 1998. Prima di tutto, è d’uopo ripercorrere le origini del mito. Ricardo Rosset, classe 1968, vide la luce a San Paolo, in Brasile. Dopo la classica trafila con i kart, l’ottimo Ricardo nel 1993 approdò nella Formula 3 britannica, dove disputò un paio di stagioni senza infamia e senza lode. Poi, il passaggio in Formula 3000. Dove, a dirla tutta, si comportò molto bene, contendendosi il titolo con l’italiano Vincenzo Sospiri, a cominciare dalla vittoria conseguita all’esordio a Silverstone. Alla fine la spuntò Sospiri, ma Rosset aveva il classico asso nella manica.
Trattavasi, ovviamente, di cospicui sponsor, che non potevano che fare comodo a qualcuno in Formula 1. Nello specifico, alla Footwork di Jackie Oliver, che versava in difficoltà economiche. Rosset si tuffò come un pesce baleno ad agguantare questa chance. Ed ecco che, nel 1996, Ricardo fece il suo debutto ufficiale in Formula 1, accanto a Jos Verstappen, destinato, nell’arco di una quindicina d’anni, a reinventarsi come stage dad di suo figlio Max, sul quale avrebbe riversato tutte le sue aspettative disattese. Ma questa è un’altra storia.
Ci interessa molto di più sapere come si comportò il nostro nel 1996. Riuscì a ottenere un ottavo posto all’Hungaroring, posizione che all’epoca non garantiva punti. L’unica lunghezza della Footwork in quel campionato la colse Verstappen, concludendo il GP d’Argentina in sesta posizione. Nel resto della stagione, mentre Verstappen veleggiava a centro classifica, Rosset annaspava in fondo. Tanto bastò, comunque, perché il nostro trovasse collocazione nel 1997. E che collocazione. Rosset si accomodò tra le schiere della mitologica Lola Mastercard, ritrovando il vecchio rivale in Formula 3000, Vincenzo Sospiri. Sponsor di livello, presentazione psichedelica: non mancava nulla.
Peccato che si trattasse di un’operazione farsesca. La monoposto, presentata per ultima, non aveva praticamente girato in pista, a causa dei ritardi nello sviluppo del motore, che non vide mai la luce, e fu rimpiazzato alla carlona dal V8 Ford della Forti. E i terrificanti risvolti di questa mancanza di chilometri si videro immediatamente in Australia, alla prima gara stagionale, con Rosset e Sospiri ultimi degli ultimi, lontani anni luce dalla concorrenza. La T97/30, disegnata a casaccio attingendo dalle vetture di IndyCar sviluppate dalla Lola negli anni precedenti, risultò undici secondi più lenta della peggiore monoposto del lotto.
Mastercard, di fronte a una figuraccia del genere, salutò allegramente il team. Il mercoledì prima del GP del Brasile, la seconda gara stagionale, la Lola annunciò che non avrebbe partecipato. Di lì a poco arrivò il ritiro definitivo dal mondiale. E Rosset si ritrovò appiedato dopo una mancata qualificazione. Sembrava la fine dell’avventura del nostro in F1. Ma la stella di Ricardo era destinata a brillare ancora, per un ultimo, entusiasmante capitolo, nel 1998.
Rosset fu chiamato dalla Tyrrell, all’epoca appena acquistata da Craig Pollock, che nel 1999 l’avrebbe trasformata nella BAR, contribuendo fattivamente all’implosione della carriera di Jacques Villeneuve. Prima di tutto questo, la Tyrrell disputò un’ultima stagione, con una macchina, la 026, tutto sommato gestibile. Almeno fino a quando la FIA non decise di bandire i “candelabri”, la soluzione da cui dipendeva l’intera efficienza aerodinamica della monoposto. Da lì, il disastro.
Il compagno di squadra di Rosset, Toranosuke Takagi, riuscì in qualche modo ad arrabattarsi. Ricardo assolutamente no. Ingaggiò un avvilente lotta con la regola del 107%, mancando la qualificazione al GP per quattro volte, a cominciare dal GP di Spagna, la gara precedente al vero capolavoro del nostro. Il 23 maggio del 1998, Ricardo Rosset si guadagnò un posto nella storia della F1, cogliendo quello che, con tutta probabilità, è il peggior giro in qualifica a Montecarlo che si sia mai visto nella massima serie. Uno spunto talmente grottesco da rendere necessario l’uso del moviolone per raccontarlo. La cronaca disastro per disastro. Tutto cominciò quando il nostro, già sei secondi più lento del resto della compagine, decise di provarci di nuovo.
Pronti, via, Ricardone nostro si rese protagonista di un bloccaggio epocale alla Mirabeau, spiattellando selvaggiamente i suoi pneumatici. Non contento, decise di prodursi in un’ignorantissima retromarcia, prima di imballare la monoposto. La regia staccò pietosamente altrove, per poi farcelo ritrovare alle piscine, girato nel senso opposto a quello di marcia. E qui arrivò il capolavoro. Perché l’eroico Rosset, per riportarsi sulla retta via, tentò la rotazione di 180° della monoposto, finendo esattamente nello spazio tra le barriere dall’altra parte della pista, mentre i commissari gesticolavano per levarlo dalle scatole.
La ciliegina sulla torta? Le prodezze di Rosset occorsero a fine qualifica, rovinando il tentativo finale al resto dei colleghi. A Ricardo poco importava, comunque: non si sarebbe qualificato lo stesso. Ma la cosa più bella, a 23 anni di distanza, restano i commenti british in telecronaca di Murray Walker e Martin Brundle. “Molte persone si chiedono se Ricardo Rosset sia tagliato per la F1”, osservò il primo. E il secondo rispose: “Direi che la risposta sia palese, Murray”. Alla faccia di chi dice che oggi si è poco teneri con i piloti dall’alto tasso di potenziale bidonaggine.
La stagione di Rosset proseguì con altri lampi di genio. Come quando, in Belgio, nell’incidentone in partenza causato da David Coulthard, solo una vettura partita indietrissimo non si accorse di quanto stava succedendo, andando a scontrarsi con chi, procedendo a velocità già sostenuta, non aveva avuto modo di reagire sotto la pioggia battente. Indovinate chi era il mito? Ricardo, ovviamente. Il quale non chiese nemmeno scusa al suo team, con cui i rapporti erano sempre più compromessi.
Il motivo è semplice. Il nostro, evidentemente un fautore ante litteram delle teorie del complotto, era convinto che la differenza prestazionale maiuscola con il compagno di squadra - il modestissimo Takagi, che in confronto a Rosset pareva però Juan-Manuel Fangio – fosse dovuta all’acredine nei suoi confronti da parte del team. L’idea che le mancanze potessero essere sue non lo sfiorava minimamente. E dire che, ad inizio stagione, Pollock aveva detto chiaramente di aver preso due paganti “segnaposto” in attesa del 1999. E Ken Tyrrell, indignato, aveva lasciato anzitempo il suo team. La storia di Rosset in F1 era comunque destinata ad esaurirsi. A fine 1998, gli fu dato il ben servito. Poco importava, a quel punto. Il suo posto nella storia lo aveva già ottenuto.