Ci sono dei cognomi che sembrano presagio di un destino già tracciato. Prendiamo Scott Speed, il signor Velocità. Con una parola così stampata sulla carta d’identità, non avrebbe potuto fare altro che il pilota. Come avrebbero detto nell’antica Roma, nomen omen? Sì e no. Ma a frenarlo, nella sua carriera in Formula 1, fu soprattutto il caratterino. Ma non anticipiamo troppo. Meglio riavvolgere il nastro fino agli albori della leggenda.
Scott Andrew Speed, da Manteca, California, nacque nel 1983. Dopo la classica trafila nelle categorie minori negli USA, il buon Scott si spostò in Europa, per tentare l’ascesa verso la F1. Nel 2003 vinse un concorso indetto dalla Red Bull per “trovare il prossimo campione del mondo di F1 americano”. Vi lasciamo immaginare il successo dell’operazione. Fatto sta che, grazie all’affiliazione con la Red Bull, Scott approdò nella Formula 3 inglese, ma dovette fare ritorno negli USA per curare la colite ulcerosa che lo aveva colpito.
Nonostante i problemi di salute, Speed nel 2004 vinse sia la Formula Renault 2000 Eurocup che la Formula Renault 2000 tedesca. E, nel 2005, arrivò in GP2, facendosi valere. Concluse quella stagione in terza posizione, alle spalle del futuro campione del mondo di F1 Nico Rosberg e di Heikki Kovalainen. A quel punto, le porte della F1 erano pronte a spalancarsi per lui. Già nel 2005, aveva partecipato come terzo pilota della Red Bull al GP del Canada e a quello degli USA. Ma l’acquisizione, a fine anno, della Minardi da parte della Red Bull fu il passo cruciale per portare Scott in F1.
La Minardi si trasformò in Toro Rosso, e divenne il team junior della Red Bull. I prescelti, per la ruggente stagione 2006, furono Speed e Vitantonio Liuzzi, dalla Puglia con furore. La STR1 era una macchina modesta, quindi i presupposti non erano esattamente ideali. Il vero problema per il nostro, però, fu il suo carattere. Pronti, via, alla seconda gara dell’anno Scott si vide togliere il primo punto in carriera per aver superato David Coulthard in regime di bandiera gialla. Ma, soprattutto, si beccò una multa da 5.000 dollari per aver insultato lo scozzese nel post gara.
Il resto della stagione fu abbastanza incolore, ma Scott, pur non ottenendo punti, fece abbastanza per essere riconfermato, sempre al fianco del prode Vitantonio. I veri problemi cominciarono proprio nel 2007, una stagione all’insegna di ritiri e incidenti che Scott non avrebbe concluso. Perché dopo essersi girato sul bagnato nel corso del Gran Premio d’Europa al Nurburgring – era in buona compagnia, nella ghiaia finirono in parecchi, Hamilton compreso - Speed ebbe uno scambio concitato di opinioni con il suo boss, Franz Tost.
A sentire Tost, la querelle rimase sul piano prettamente verbale. Secondo il nostro, invece, ci fu una colluttazione. Tost gli avrebbe prima sferrato un pugno alla schiena, per poi seguirlo nella parte del box protetta dagli sguardi indiscreti per ribadire il concetto. Speed, a questo punto, lo avrebbe sfidato a ripetersi davanti a tutti, qualora ne avesse il coraggio. Secondo l’americano, lo ebbe. Quale sia la verità, non lo sapremo mai. Una cosa è certa, però. Dopo quella presunta rissa, il rapporto tra Scott e la Toro Rosso era definitivamente compromesso.
Anche perché Tost non era il solo a non apprezzare l’atteggiamento del nostro. Pure Gerhard Berger, all’epoca co-proprietario della Toro Rosso, non aveva affatto gradito le accuse che Scott aveva mosso pubblicamente al team, ribadendo più volte che Tost e Berger avrebbero voluto cacciare sia lui che Liuzzi. E qui la faccenda si fece ancora più complicata. Perché ci si mise anche Helmut Marko, noto polemizzatore, sostenendo che i piloti non fossero scarsi, ma che mancasse invece il supporto da parte dei dirigenti del team.
Apriti cielo. Berger fece notare, sibilando, che Marko non aveva esattamente il fiuto per il talento, visto che, nel 2000, aveva sostenuto con fierezza la candidatura di Enrique Bernoldi, altro astro della galassia del bidoname vario ed eventuale, e non quella di Kimi Raikkonen per un posto in Sauber l’anno successivo, deteriorando i rapporti con la scuderia svizzera. Ma il catfight tra Marko e Berger non cambiò le sorti dell’ottimo Scott. In Ungheria, al suo posto, corse il terzo pilota del team, il ventenne Sebastian Vettel.
E il 31 luglio del 2007, il contratto tra Speed e la Toro Rosso fu rescisso. Anche Liuzzi, comunque, non avrebbe avuto vita lunga in Toro Rosso, visto che a fine anno fu sostituito da Sébastien Bourdais, lui stesso durato in F1 quanto un ghiacciolo sotto il sole. Non lo sapevamo, ma stavamo assistendo agli albori del gioco alla defenestrazione della galassia Red Bull. Ci sarebbero state più vittime che pupilli. La lista, negli anni, si è fatta lunghissima. Ma questa è un’altra storia.
Siccome oggi il protagonista è l’ottimo Scott, concentriamoci ancora su di lui. Il suo addio alla F1 fu faccenda limacciosa, al sapore di congiura. Ma il suo caratterino avrebbe condizionato ancora la sua carriera. Nell’ARCA, nel 2008, fu protagonista di una rivalità accesa con Ricky Stenhouse, Jr.
Nell’ultima gara dell’anno, per vendicarsi di un contatto causato dall’acerrimo nemico, una volta tornato in pista da doppiato, lo tamponò violentemente, ponendo fine alla gara di entrambi. Con gli anni, Scott ha trovato nuova linfa nel Rallycross, disciplina piccante quanto lui. Ma la predisposizione a speronare gli avversari non gli è passato, anche se l’ha declinato in salsa virtuale. Tre anni fa, fu bandito da iRacing per le sue prodezze da pirata del simracing. Quel vecchio lupo di Scott, insomma, ha perso il sedile, ma non il vizio.