Mentre Fabio Quartararo è sempre più vicino al titolo, che potrebbe arrivare già a Misano, in Ducati si respira un clima da domenica mattina, una domenica senza le corse. Il sabato è finito e forse si poteva fare meglio, il lunedì è in agguato e ci sarà da lavorare per una settimana. A meno di grandi sconvolgimenti si parlerà, ancora una volta, di una squadra cresciuta, pronta a lottare per il titolo nel 2022 e sempre più unita. Tutto pur di non dire che, in fin dei conti, il secondo è ancora il primo dei perdenti.
La verità però è che di strada Ducati ne ha fatta moltissima in quest’ultimo anno. A fine 2020 con l’addio di Andrea Dovizioso le critiche erano state feroci: ma come, rinunciare all’unico rivale credibile di Marc Marquez perché non andate d’accordo? Oltretutto per cedere la sella ai piloti del team satellite che non è certo un colpo di mercato per strappare il talento alla concorrenza. Pecco Bagnaia, si leggeva un po’ ovunque durante l'inverno (a dirlo è stato lui stesso) era stato sopravvalutato dalla dirigenza e non meritava la promozione, a qualcuno risultava persino antipatico per il suo legame con l’Academy di Valentino Rossi.
Discorso simile per Jack Miller: australiano come Bayliss e Stoner, simpatico e vorace ma niente di più. Sarebbe stato un bello show da mettere tra la seconda e la terza fila in griglia di partenza, di gran lunga meno affidabile delle previsioni meteo.
Invece le cose sono andate diversamente. Miller e Bagnaia hanno vinto (per ora) due gare a testa, hanno creato un bel clima e stanno portando la lotta per il mondiale fino in fondo. Come l’anno scorso poi, Ducati è in predicato di vincere il titolo costruttori di cui è attualmente in cima alla classifica. Tanto male, a ben vedere, non sta andando. Specialmente considerate le premesse.
Le scelte del management bolognese sono state spesso criticabili, stavolta però hanno avuto ragione in pieno. Il ciclo con Dovizioso era finito e servivano piloti più affamati che affermati. D’altronde il disastro tra Yamaha e Vinales ci ha ricordato, ancora una volta, che gli equilibri in una squadra di MotoGP sono delicati. Se Maverick fosse stato in Ducati avremmo dato la colpa dei suoi capricci a Gigi Dall’Igna, Davide Tardozzi e Paolo Ciabatti. Nessuno invece se l’è presa con Lin Jarvis o Maio Meregalli per la gestione di Vinales. Ed è giusto così, le corse si fanno di corsa e spesso capita di sbagliare.
Se è vero che a Valencia il titolo piloti sarà difficile anche solo sognarlo è altrettanto vero che, come mai prima d’ora, la Ducati ha un grande controllo sulla MotoGP. La moto è competitiva su tutti i circuiti, hanno piloti esperti e talenti spaventosi (come Martin e Bastianini) e l’anno prossimo vedremo addirittura otto Desmosedici in pista.
Al contrario, gli altri costruttori devono gestire situazioni ben più complesse. KTM sembra aver fatto un passo indietro, Suzuki non ha ancora un team satellite (di contro ha due piloti che sembrano una coppia di separati in casa) e i colossi giapponesi non se la passano di certo meglio. Sia Honda che Yamaha si trovano infatti con un pilota velocissimo e altri tre in difficoltà. Il Sepang Racing Team ha perso lo sponsor Petronas e il prossimo anno avrà tutto da dimostrare, Lucio Cecchinello ha bisogno di una moto più efficace da dare ai suoi piloti. Ripensando alla situazione in Ducati è naturale pensare che a Borgo Panigale partiranno in vantaggio.
Il via libera allo sviluppo motoristico potrebbe cambiare leggermente le cose, ma se gli equilibri dovessero rimanere invariati è chiaro che, nel 2022, Ducati non avrà solo la possibilità di vincere il titolo, avrà il dovere di riuscirci.