La paura merita sempre rispetto, così come lo merita sempre anche il lavoro. Però ancora più rispetto lo meritano la verità e il dolore, i fatti e la fatica e è per questo che parole come “fortissima”, “tremenda”, “disastrosa”, “terrificante” non possono proprio essere accostate al terremoto che ha colpito oggi la Lombardia. Danni pochi, vittime zero. Certo, la paura è stata tanta e, come detto, merita rispetto. Così come merita rispetto il lavoro di quelli che queste parole le hanno utilizzate in qualche titolo che da alcune ore sta facendo il giro del web. Solo che le ferite di un terremoto che è stato veramente “fortissimo, tremendo, disastroso e terrificante “ sono ancora aperte in un pezzo d’Italia che sta in ginocchio da cinque anni.
300 vittime, decine di migliaia di sfollati, comunità intere che non hanno più una piazza e che vivono il peggiore dei tradimenti: quello che ti fanno le tue stesse radici. E viene da dire che bisognerebbe darsi una regolata tutti, almeno quando di mezzo ci sono, appunto, verità e dolore, fatti e fatiche. Un terremoto, uno vero, è qualcosa che ti falcia l’anima e ti costringe a mutare ogni prospettiva e poco c’entrano quelle definizioni che invece oggi sono state accostate a una sgrullata di vetri, a qualche lampadario che avrà dondolato e alla legittima paura di chi ha sentito quel rumore inequivocabile che saliva dal basso fino a paralizzare il cuore. Secondi infiniti, per carità, ma non scherziamo con le parole. O, almeno, impariamo (tutti e noi compresi) a darci una regolata.
Lo si deve alla gente del Centro Italia che da quasi 2000 giorni si incontra chiedendosi “dove stai” piuttosto che “come stai”. E che, forse non è abbastanza chiaro, non sempre si incontra. Perché un terremoto vero, di quelli “fortissimi, tremendi, disastrosi e terrificanti”, ammesso che ti lasci vivo, rimescola vite e macerie fino a non capirci più niente. Fino a farti dire che una sgrullata di vetri quotidiana la scambieresti volentieri, anche fosse per tutta la vita, con il ricordo di quei giorni maledetti del 2016. In luoghi che ancora oggi portano ferite che più passa il tempo e più appaiono impossibili da guarire, mentre la misura della verità finisce sgretolata dentro definizioni che no, non sono proprio accettabili. Perché finiscono per aggregare episodi che aggregabili non sono e perché mentre i vetri hanno smesso da un bel po’ di tremare in Lombardia, in un pezzo grande (e meraviglioso) d’Italia c’è chi pagherebbe per poter guardare ancora oltre il vetro di una casa che non ha più e che forse nessuno gli restituirà mai. Piano con le parole, perché rendono “sfollato” il rispetto… soprattutto adesso che è quasi Natale.