Ha tutti i suoi rituali Vale: sempre la stessa sequenza per fare ogni cosa, soprattutto nei fine settimana di gara. Lo fará ancora questa notte, per l'ultima volta, mentre una tempesta emotiva travolgerà inevitabilmente anche lui, uno che sembra capace di leggerezza disumana, uno a cui riesce il sorriso sempre. Ma è semplicemente Valentino Rossi. U-n-i-c-o. E per questo capace di scrivere la storia di uno sport e di identificarsi con quello stesso sport. Probabilmente, scanzonato come é, non se ne é nemmeno mai reso abbastanza conto se non per le rotture di palle e per la consapevolezza che se ti chiami Valentino Rossi non c é un angolo di mondo in cui non sei nessuno. In cui qualcuno non ti verrà a chiedere una foto, un autografo, una stretta di mano. É la sua vita, non é stato mai adulto senza tutto questo intorno e per lui é quasi normale. Non sará più normale, invece, da domani sera. E probabilmente comincia a non esserlo neanche da oggi, mentre fa ancora il pilota. Per l'ultima volta. E ci abbiamo provato a immaginare l'ultima notte di Vale. Pura fantasia, sia inteso, ma vivendocela dentro come fosse un film che ognuno di noi, ognuno di quelli che l'hanno amato e vissuto, puó sceneggiare come gli dice il cuore. In prima persona, come se l'ultima notte di Vale fosse l'ultima notte di tutti noi, che Vale non lo siamo mai stati, ma che adesso cominceremo a vederlo più umano. Più arreso, ammesso che sia il verbo giusto, alla consapevolezza che tutto finisca, che tutto finisca relativamente presto e che solo l'eternità di cui é stato capace non finirá mai.
La mano sinistra sulla maniglia del motorhome, Francesca, Uccio e Max appena dietro. Sono quelli che lo abitano con lui, ma non questa notte: "Questa notte voglio stare da solo". Perché ha pure una sua timidezza, Vale, che é quella che gli viene da una terra in cui commuoversi é quasi un disonore e ridere comunque é un dovere. Peró da ridere c'é poco quando del futuro non sai praticamente niente e pure i ricordi cominciano ad essere abusati. Quelli, sí, fanno ridere, ma in questi giorni é stato un continuo di storie da riportarsi alla mente che non c'é molto altro di nuovo da tirare fuori. Solo, quindi, nel motorhome che s'è fatto costruire intorno, a misura perfetta. Eppure questa notte é stretto. Stretto da morire e da soffocare, nonostante non ci sia nessun altro. Nonostante quelli che condividono quei metri abbiano accettato di andare altrove. Altrove prima di stargli vicino pure nella prossima vita, quella che comincerá dopo stanotte, dopo l'ultimo show.
"Sará solo la condizione di una notte". Cosa? La solitudine. "L'ho capito anche oggi, quando Pecco, un altro dei miei figli, mi ha aspettato per darmi il tirone e portarmi in q2. Ma non é così che piace a me, anche se adesso é solo così che si puó. E va be'. Arriverá pure una bambina, una famiglia. Ma c'é tempo, un pilota vive un fine settimana alla volta. Peró c'é pure un nome da scegliere, ma da lunedì. Anche se l'idea che quella bimba possa restare V.R. é giá abbastanza definita, la Franci permettendo. Adesso c'é ancora l'ultima corsa, alla fine di ventisei anni in cui s'è respirata pure morte. E, inutile negarlo, la compagnia della morte c'é sempre in chi fa il pilota, anche in un'ultima notte. Perché, anche se é brutto da dire e fin troppo cinico da riconoscere, chi ha vissuto di velocitá vorrebbe andarsene correndo. Quelli che non ci sono più li si piange, ma li si invidia pure in qualche modo. Peró mica si possono avere questi pensieri. E vanno rifuggiti soprattutto questa notte, mentre per l'ultima volta un po' d'acqua bagna il viso e finisce per mischiarsi, forse, pure con una lacrima. Ricordando chi non c'é più, ricordando quelle volte che sarebbe potuto succedere e non é successo, e rifuggendo razionalmente persino un sentimento molto simile al rammarico che non sia successo.
Dormire? Non se parla, anche se ci vorrebbe. La decima casella domani é il pensiero a cui aggrapparsi per non lasciarsi trascinare dall'emotivitá che diventa insonnia. Dieci, come un numero che é un tormento, come una incompiuta che, in veritá, incompiuta non é. "Per me sono dieci, per la mia gente sono dieci. I numeri, peró, contano abbastanza per non lasciarsi andare a narrazioni differenti. Diobo' l'avrei voluto e quel Marc Marquez s'é messo in mezzo. Gli volevo pure bene". Il perdono non é come la morte. Il perdono é un pensiero che non ti sfiora, neanche l'ultima notte e se gli appassionati potranno anche dimenticare e lasciare che il tempo cancelli, chi c'era, chi ha vissuto da protagonista, non ce la fará mai. Neanche se rispondi al nome di Valentino Rossi. Perdonarlo é come dormire stanotte: non se ne parla.
Di parlare, invece, se ne é fatto tanto in questi giorni. "Come sará non avere la stampa sempre appostata? O magari i giornalisti per un po' saranno appostati lo stesso? Di sicuro mi sono fatto voler bene da loro e in qualche modo li ho anche governati, soprattutto ultimamente". Adesso, peró, servirà una specie di cambio di passo, perché non stare più in pista é diverso, risolvere tutto con una battuta non sará più così semplice. Bisognerà imparare un approccio nuovo, per il team, per i ragazzo della VR46, ma pure per evitare che il passatismo a cui i giornalisti, soprattutto quelli italiani, sono così legati diventi angoscia.
É come un altro giro da fare, come quando é stato necessario adeguarsi alle moto che cambiavano, agli stili più performanti, alle dinamiche più spettacolarizzate della Classe Regina che é diventata MotoGP. Proprio come adesso, dopo una notte di sonno poco e pensieri tanti, con un'ultima gara da fare, con ancora un'emozione, stavolta incontenibile, da contenere, mentre il sole di Valencia comincia a scaldare le pareti di Casa46 e a mischiare il suo rosso col grigio di un interno senza tutto quel giallo e quel blu che, invece, sono sempre stati il fuori di Vale. Quasi a indicare che anche quel colore lì, grigio del tempo che passa, merita un sole nuovo. Che é sconosciuto, ma che non ha ragione di fare paura.