Parlare apertamente. Da hombre vertical quale è sempre stato. Gennaro Gattuso non conosce l'arte della diplomazia e della retorica, nemmeno ha mai provato a impararla. Si esprime nella verbalità esattamente come faceva in campo: da incontrista, andando dritto allo scontro con chi in quel momento sta portando palla. Non c'è da ragionare, c'è da impedire a quello lì di nuocere. E si tratta sempre di scontro duro ma leale. Si può finire entrambi in terra e farsi male, ma è mestiere.
Per questo ci si rialza insieme, dandosi una mano se serve.
È a causa di questa forma mentis, del suo essere incontrista nell'anima, che Gennaro proprio non capisce il vortice delle parole al veleno che da settimane accompagna la sua esperienza da allenatore del Napoli. E non si parla certo delle critiche sbracate che vengono espresse via social, cui ormai nessuno ha possibilità di sottrarsi a prescindere da cosa faccia. No, ciò che gli dà fastidio è quel venticello fatto di mezze parole, sguardi obliqui, piccoli logoramenti quotidiani. Con la sgradevole sensazione che la società e il presidente non stiano facendo alcunché per tutelarlo, e che anzi questa inerzia sia l'anticamera della delegittimazione. Per questo dopo la gara contro il Parma è arrivato lo sfogo. Preannunciato in settimana con la reazione a quelle domande insistenti da parte dei giornalisti in conferenza stampa, a proposito del suo possibile esonero. Ma possibile che uno debba dare delucidazioni sul se e sul quando possa essere licenziato? Possibile, se il candidato al siluramento viene lasciato solo dal datore di lavoro. Certe domande sono segno di una condizione fragilizzata. E certe fragilità non arrivano da sole.
E così nel dopo-gara di domenica Gennaro Gattuso ha fatto quello che sa fare meglio: essere se stesso. Immediato, senza bizantinismi. E ha messo società e proprietà nelle condizioni di fare una scelta molto complicata: cacciare il dipendente riottoso a dispetto di risultati che al momento gli danno ragione, o tenerlo da separato in casa e con quel piglio da Masaniello pienamente in sintonia con la piazza, perciò capace di valergli anche il consenso di chi non ne stima il modo di fare calcio.
Dice che il suo gioco non piace. Obiezione che può essere accolta, a patto che ci si indichi pure quali fra le squadre di alta classifica stia offrendo, e con continuità, un gioco seducente durante questa stagione. Guardiamo invece ai dati. Il Napoli di Rino Gattuso è quinto in classifica al termine del girone d'andata con gli stessi punti della Lazio e uno in più dell'Atalanta, ma anche con una partita in meno. Dunque, ha la teorica possibilità di agganciare la Roma al terzo posto. Ha inoltre raggiunto la semifinale di Coppa Italia e si è portato ai sedicesimi di finale di Europa League. Dunque, la squadra sta facendo ciò che realisticamente le si poteva chiedere. Certo, ha mancato di vincere la Supercoppa Italiana. Ma l'ha persa contro la Juventus e dopo essersela giocata fino in fondo, sbagliando il rigore che avrebbe dato il pareggio. Una partita che avrebbe potuto chiudersi con qualsiasi risultato.
Che il rapporto fra Gennaro Gattuso e il Napoli vada a concludersi è cosa scontata. Era già nell'ordine delle cose prima della sfuriata di domenica, figurarsi adesso. Si tratterà solo di stabilire quale sarà il momento e quale il pretesto. Resteranno comunque molte lezioni di dignità, impartite al mondo del calcio intero. Con quel metterci sempre la faccia, in senso letterale, anche quando aveva la miastenia oculare e invitava i ragazzi a non vergognarsi di nulla, men che meno dei problemi di salute. E con quei modi umili da ragazzo di Calabria che non dimentica mai di essere un privilegiato e per questo sente di dovere dare sempre qualcosa di più per giustificare il privilegio. Lo disse usando parole bellissime dopo un'altra finale contro la Juventus, quella di Coppa Italia vinta ai rigori la scorsa estate. Affermò che il calcio gli ha dato più di quanto lui abbia ricambiato e per tale motivo si sente grato a questo mondo. Che pure continua a guardarlo con qualche degnazione. Come se non si stesse parlando di un campione del mondo, come se quest'uomo non avesse vinto da calciatore un numero di coppe e scudetti irraggiungibile a sedicenti fenomeni che piacciono alla gente che piace.
Lui è così, continuerà a esserlo. E se infine il calcio deciderà di metterlo fuori, lui continuerà a portargli rispetto per quanto ha ricevuto. A volte la gratitudine è la più bruciante delle vendette.