Come in un playground. In una gelida notte di fine gennaio Zlatan Ibrahimovic e Romelu Lukaku, due animali da gol, animalescamente si sono confrontati a muso duro. In senso letterale. Perché mentre tutti quanti arranchiamo fra le restrizioni comportamentali da pandemia i due scambiavano droplet e disonori alle mamme da zero centimetri di distanza. Proprio come accadrebbe a due bulletti del basket giocato negli spazi urbani interstiziali, fatto di spontaneismo regolamentare e olio di gomito usato senza economie. In quel contesto l'insultarsi sanguinosamente, ma senza che sangue vero scorra, è meta-gioco, elemento che accompagna lo svolgimento della gara. Tanto che questo modello espressivo è stato portato di peso nel basket NBA, oltreché in altri sport come la boxe. Nella pallacanestro iper-professionistica nordamericana il trash talking è un pezzo della cassetta degli attrezzi da cui cavare le risorse per vincere psicologicamente, prima che agonisticamente. L'insulto più efficace vale quanto una tripla, certo più di un blocco. Metodo “Shock and awe”, mezza battaglia vinta. E invece nel calcio no. Specie in Italia, dove pare si debba pagare un sovrappiù d'educandato sul campo mentre tutt'intorno il sistema crolla nello sfacelo economico e morale.
Siamo il paese dove Buffon deve andare davanti alla Corte Federale per aver bestemmiato in campo. Che se si applicasse alla lettera il divieto di sacramentare in gara non se concluderebbe una per mancanza di numero regolamentare. Ma soprattutto siamo la Terra degli Opinionisti h. 23. Quelli che alle undici della sera vengono mobilitati dalle redazioni per dare una pennellata d'indignazione e moralismo e stigmatizzare i due rissanti per il cattivo esempio. Trenta righe espresse in modalità signorina Rottermaier, grazie.
Già, il cattivo esempio. Ma non vi sfiora l'idea di essere voi a darlo? Con la vostra indignazione d'ufficio pronta a essere azionata come fosse il timer del microonde, e con quelle chiose che sono vero turpiloquio morale. Così come è turpiloquio tattico tutto quel ragionare di “quinti che accorciano” e di “errore nella corsa all'indietro”. Masturbazione tantrica per teorici improvvisati, ma vero sopruso al telespettatore oltreché pesante contributo all'inquinamento acustico del pianeta. Come si direbbe a Firenze, che peraltro può aspirare al rango di Capitale Universale del Trash Talking: “Ma fate festa!”. Che è un modo per dire: “Piantatela!”. E guardate piuttosto a quello che è successo davvero. Due animali da gol che fieramente si detestano dopo essersi stimati. Prima riuniti sotto le insegne di Mino Raiola, poi divisi perché Lukaku ha smesso d'essere un assistito del super-agente mentre Ibrahimovic ne è diventato qualcosa di più che un assistito. Due che per di più, se proprio la si deve mettere sul piano degli insulti razzisti (ciò che in queste ore viene rimarcato), il razzismo lo subiscono entrambi in tutti gli stadi d'Italia, fra “negro” e “zingaro”. Se le sono dette, quasi se le sono date, di sicuro se le ridiranno. Per la gioia dei nostri Indignados delle 23, che avranno di che tornare a cimentarsi. Loro che vogliono il calcio edificante e poi si sdilinquiscono negli studi televisivi davanti a presidenti taroccatori di bilanci e agenti evasori del fisco. Fortuna che fuori da qui c'è chi la vede in modo diverso. Come i colleghi di So Foot, che hanno “ringraziato per questo momento” i due rissanti (Lukaku-Ibrahimović, merci pour ce moment). “Ci hanno ricordato che il calcio – per fortuna – non è stato ancora completamente anestetizzato”. Appunto.