Quello di Giacomo Agostini non è un nome che ha bisogno di presentazioni per gli appassionati di motociclismo. Anche noto come Ago, Giacomo nasce a Brescia il 16 giugno 1942: una data importante per il mondo delle due ruote. La prima gara ufficiale a cui partecipò con la fiammante “Settebello” portando i colori del Moto Club di Costa Volpino fu una gara in salita nella quale si classificò secondo, alle spalle del celebre Attilio Damiani. Da quel momento, Agostini vince innumerevoli premi e vittorie: 15 mondiali vinti, 190 gare disputate di cui 123 vinte. 8 titoli in classe 500 e 7 in classe 350.
Insomma, non siamo certo noi a dovervi dire chi è Giacomo Agostini. Oggi è tornato al centro del dibattito per alcune dichiarazioni che riguardano i suoi anni d’oro non solo in moto ma anche nella vita privata sul Corriere della sera. Ai tempi, afferma, gareggiava con la Mv Augusta, reclamizzata dall’Italia con il casco tricolore. Le colline di Bergamo, con viste mozzafiato, erano teatro delle sue corse. Ago precisa di essere nato su due ruote: “Papà usava la moto, ma solo per andare in ufficio. Io sognavo di guidare autotreni”.
Sì, proprio autotreni: la sua famiglia aveva infatti un’azienda di trasporti sul Lago d’Iseo, dove il piccolo Giacomo trovava i camion e non appena possibile ci saliva sopra. A Lovere, Agostini frequentava i Paesini della Riviera. Con la sua moto Guzzi Lodola osservava amici sbruffoni che sfoggiavano moto nuove e bellissime. Un giorno, quando lo provocarono e lo sfidarono in una corsa, capì di avere un talento innato: “Partimmo, non li vidi più. Li trovai al bar, li avevo seminati dopo quattro curve”. Tra gli altri aneddoti, racconta che il padre, per paura degli incidenti, non voleva che lui gareggiasse; si tranquillizzò solo quando ricevette una rassicurazione dall’amico notaio, che disse: “Lascialo fare, lo sport fa bene”. Quello che non sapeva era che l’amico pensava che si stesse parlando di biciclette.
Parla poi delle moto guidate, e ne parla come si parla dei più grandi amori: “La Morini mi ha dato la prima vittoria e ha indirizzato tutta la carriera”. Gli appassionati si ricorderanno di questa moto, che fu poi però sostituita da una moto nuova, una 4 cilindri. Dai racconti si evince che lo sport non è solo competizione. È anche tragedia, come in ogni grande ambito umano: “In certi anni ho addirittura visto morire un collega per ogni gara. Al Tourist Trophy, dove ho vinto 10 volte, ad oggi sono morti 250 piloti. Anche se correre lì dà emozioni uniche, è pericoloso”.
I suoi 78 anni, ammette, un po’ pesano, anche se si sente ancora giovane grazie al fatto che gira ancora in moto. Fa anche dei nomi: “Marquez potrebbe battere il mio record. Valentino si era avvicinato, ma ora non vince da un po’. Si diventa vecchi, non giovani…”. L’aneddoto più inaspettato però riguarda quella volta che cenò a Parigi con Alain Delon e Carlos Monzon. Quella sera, dichiara, Alain era con una splendida amica, ma a sorpresa arrivò Mireille Darc, compagna dell’attore. Così fece finta di essere il fidanzato della ragazza. Insomma, una serata con l’amante di Delon. Infine, un augurio per il futuro. Il motociclista si augura che la gente sappia scegliere chi ha la testa, conoscenza ed è onesto: “Penso a Maradona, che ho stimato come campione. Ma con la sua vita sregolata che cosa ha lasciato ai giovani?”. Un vero e proprio inno allo sport sano e soprattutto uno sport che sappia dare l’esempio non solo a chi gareggerà in futuro, ma a tutti quelli che si dovranno occupare di questo mondo.