Giacomo Agostini, che ancora oggi detiene il record di campionati mondiali vinti in carriera, addirittura 15, torna a raccontarsi in vista dell’ultima gara di Valentino Rossi a Valencia con la quale lascerà le corse e si avvierà a una nuova vita, tra gare d’auto e il cambio di pannolini per il figlio in arrivo. Agostini, dal canto, ha spiegato quanto è difficile ritirarsi dopo una carriera leggendaria: “Non ricordo a chi lo dissi per primo, non c’è stato neanche un momento preciso in cui ho deciso. Quell’anno mi andavano storte di continuo: una volta ho rotto, un’altra non sono riuscito a partire. Al Mugello stavo per riprendere il primo e mi si è grippato il motore all’ultimo giro, per fortuna me la sono cavata senza conseguenze. Mi sono detto ‘è un avvertimento’. Ai miei tempi era molto più pericoloso. Madre Natura mi aveva fatto questo grande regalo e forse era arrivato il momento di lasciar il posto ad altri, senza esagerare più”. Difficile lasciare, però, anche perché non si sentiva ancora vecchio: “Macché, a 35 anni nessuno lo fa, giustamente, ma per noi sportivi è un’età da ‘anziano’ e va accettato. È il cronometro che parla, anche se fa male. Di certo ad aiutarmi nel dire basta c’erano i rischi enormi che prendevamo ogni domenica e i tanti amici che ho visto morire in pista. Oggi per fortuna i progressi della sicurezza permettono quasi sempre di cadere e rialzarsi con pochi lividi”. Nonostante questo, il ritiro è sempre difficile. Lui, per esempio, pianse tre giorni. Ma è certo che non succederà al pilota di Tavullia: “Penso di no, lui lo choc lo ha già avuto, praticamente ha smesso nel momento in cui lo ha annunciato. È come quando ti sposi: il dolore è quando dici sì”.
Agostini, nell’intervista rilasciata al quotidiano Libero, ha poi ripercorso la scelta di non accettare l’offerta della Ferrari: “Sì, era il 1966, ero circa a metà carriera e ci vedevamo spesso all’autodromo di Modena”. In questo caso parla di Enzo Ferrari: “Ci eravamo conosciuti lì e Ferrari aveva iniziato ad ammirarmi: figuriamoci, quando parlavo con lui mi tremavano le mutande”. Nonostante ciò, decise di declinare: “È stata dura, ho riflettuto e mi sono detto: ‘Io sono nato con il pensiero fisso delle moto, non posso lasciarle’. Mio padre, che invece era contrario, per farmi cambiare idea nel 1960 mi regalò perfino una bellissima Alfa Romeo Giuletta Sprint rossa. Non servì”. Ma rispetto ad allora, oggi è tutta un’altra storia: “È quello che provai a far capire a Ferrari. ‘Ma come, rinunci?’ esclamò. Non potevo fare altro”. Però ammette che Rossi, in qualche modo, ha completato il suo percorso: “È vero. Nel motociclimo ho portato la professionalità: sono stato il primo a costruirsi una palestra a casa per allenarsi, sono stato il primo a curare l’alimentazione. Ai miei tempi siamo passati dalle tute nere a quelle colorate, poi c’è stata l’evoluzione della sicurezza e le battaglie sui tanti circuiti dove si moriva, compreso il mio rifiuto di continuare a correre il TT all’Isola di Man. Poi abbiamo cominciato a mettere i caschi integrali. Valentino ha esaltato tutto questo e fatto diventare il motociclismo un affare di massa, portandolo nelle cucine delle nonne e facendo sognare i bambini. Alla fine, la MotoGp attuale l’abbiamo fatta io e lui”.