Era piccolo, Gilles Villeneuve. Meno di un metro e settanta per appena 50 chili di nervi e muscoli. La prima volta che Enzo Ferrari lo vide di persona, in un incontro a Maranello voluto dal Drake per studiare da vicino quel giovane canadese di cui tutti parlavano, Gilles si presentò in jeans e maglietta.
In un mondo di aspiranti piloti che solo per arrivare lì, al cospetto di sua maestà Enzo Ferrari, avrebbero pagato, pianto e implorato, il grande vecchio del Cavallino voleva lui. Il ragazzo che, nel 1973, comprò la prima auto da corsa con i soldi guadagnati nelle gare di motoslitta in Canada, dove da ragazzino aveva fatto successo. Quello che di storia sapeva poco, che non conosceva Nuvolari, e che della Ferrari sapeva ciò che tutti sanno: che è rossa, che è famosa e che è italiana.
Voleva solo correre, Gilles Villeneuve. Del resto non gli interessava poi molto. Voleva correre così tanto che nel primo periodo di corse europee - per risultare competitivo in un mondo di piloti sempre più benestanti - il canadese si tolse un paio di anni. Diceva di essere più piccolo, aiutato da quel fisico asciutto che non gli ha mai restituito l'età anagrafica che si portava addosso.
Un'età, quella reale, che non andò mai oltre i 32 anni. Come se fosse troppo, per quel pilota sempre pronto a dare tutto per ottenere tutto, cambiare forma. Invecchiare, rallentare, accettare sconfitte, compromessi, ritiri. E così mentre gli anni che ci separano dalla sua morte, avvenuta in un pomeriggio di esattamente 42 anni fa a Zolder, continuano a crescere, l'età dell'Aviatore resta per sempre la stessa.
Dieci anni più vecchio di Ayrton Senna, due anni più giovane di lui quando la morte li incontrerà in pista. Un solo anno più piccolo di Niki Lauda, che sostituì in Ferrari, andando a prendersi un sedile e a conquistare un onore che in molti, in Italia, non volevano concedergli.
"Perché prendere uno straniero - chiedevano in continuazione a Enzo Ferrari - quando in Italia ci sono così tanti giovani promettenti?".
"Quando saranno pronti avranno la loro occasione" rispondeva il Drake. Gli piaceva scommettere, gli piaceva cercare di leggere le persone, e il loro talento, dietro quegli occhiali scuri diventati icona. E Gilles aveva tutto ciò che Ferrari cercava. Dopo Zolder, devastato dalla perdita, il Drake dirà soltanto: "Gli volevo bene".
Gli volevano tutti bene, a quel canadese sopra le righe. Nonostante gli errori, le delusioni di una Ferrari che non lo aveva ancora portato al mondiale, le incomprensioni in pista, gli eccessi di una personalità difficile da domare. Nonostante tutto era impossibile non volergli bene. E mentre si allontanano gli anni che ci separano da quelle qualifiche, da quel silenzioso e disperato ritorno ai box di Pironi con due caschi in mano, la cicatrice lasciata aperta dalla morte resta viva.
Così come resta vivo un confronto, un metro di giudizio, per chi dopo di lui in Formula 1 si è dimostrato fatto della sua stessa pasta: nervi e adrenalina, muscoli e coraggio. La pasta di chi vuole sempre e solo tutto, o niente. "Assomiglia a Villeneuve" sentiamo dire di chi troppo vuole, di chi non si sa accontentare. Di chi è sempre disposto a infilarsi per intero dentro alle cose, a risultare qui arrogante, là impreciso, sempre e comunque immaturo.
Perché la maturità la si dimostra accettando di alzare il piede, di vincere sulla lunga distanza, di non poter convivere con l'idea irrealizzabile di volere sempre e solo il massimo. Ma se non ce l'hai, la capacità di fare un passo indietro, costruirla da zero è complicatissimo: come accettare un arto che non appartiene al tuo corpo o un pensiero che non entrerebbe mai, altrimenti, nella tua testa.
E se non sei fatto per i compromessi allora, nella Formula 1, di oggi sei un "Gilles Villeneuve". Come se gli zero titoli conquistati fossero sufficienti a dirci qualcosa su ciò che il canadese non sapesse fare. Come se non fosse possibile definire ciò che neanche Enzo Ferrari, di quel ragazzo tutto nervi e muscoli, sapeva spiegare.
Ciò che ancora brucia come sale nella cicatrice aperta 41 anni fa Zolder. Nel ricordo di un pilota che voleva solo correre e vincere. Che viveva per il tutto: o così o niente.