Non aveva più neanche le scarpe, Gilles Villeneuve. Quando venne soccorso, poco dopo le 13:52 dell'8 maggio di 42 anni fa, Gilles era scalzo. Riverso a terra, dopo essere stato sbalzato fuori dall'abitacolo della sua Ferrari con il sedile attaccato a sé per quasi 50 metri, l'Aviatore non assomigliava più a se stesso.
L'incidente alla Terlamenbocht, nei minuti finali delle qualifiche del Gran Premio di Zolder, l'ultimo di una vita fatta di rischi, di esagerazioni e coraggio, fu la drammatica conclusione di una carriera, e di una vita, che alla leggenda canadese avrebbe dovuto dare molto di più. Più vittorie, più tempo, più spettacolo per sé e per chi, vedendolo in rosso, non poteva fare altro che amarlo.
Fin dai primi soccorsi la situazione di Gilles, appena 32enne, apparve tragica. L'impatto al suolo era stato troppo violento e cadendo il pilota abbatté la rete di protezione della curva e in seguito colpì un paletto di sostegno della rete esterna con il collo e la schiena. Per proteggere il canadese privo di sensi dai tifosi arrivati sul posto i commissari e i piloti, compagni e amici di quel pilota sempre sopra le righe, formarono un cordone umano per bloccare l'accesso ai fans, mentre si cercava di nascondere il corpo di Gilles con dei teli neri.
Tra i presenti - visibilmente sconvolto - anche Didier Pironi, compagno di squadra in Ferrari di Villeneuve e suo ormai ex grande amico. Il rapporto tra i due si era rotto, nel più banale dei cliché, in pista poche settimane prime. Su suolo italiano, nel fine settimana di gara di Imola, Pironi vinse il Gran Premio davanti a Gilles, infrangendo un patto, e un codice di lealtà, a cui il canadese era profondamente legato. Da lì le battute con la stampa, gli sguardi mesti sul podio, le incomprensioni. Un muro, quello alzato da Villeneuve nei confronti di Pironi, che la storia vorrà non far cadere mai. Troppo poco tempo, da Imola a Zolder, per smorzare i toni, appianare le incomprensioni. Nessun tempo dopo quell'8 maggio, per sistemare le cose tra i due.
Ma a Gilles quel giorno, steso a terra in attesa di essere trasportato alla clinica di Lovanio dove, poche ore dopo, venne dichiarato clinicamente morto, non mancavano solo le scarpe ai piedi. L'impatto tolse all'Aviatore anche quel casco diventato icona, riconoscibilissimo, nero e rosso come la sua Ferrari.
A raccoglierlo e portarlo via, lontano dai tifosi e da quel massacro di lamiere e rottami, fu proprio l'ex grande amico, ultimo compagno di squadra. Pironi venne immortalato così, in una fotografia che ha fatto la storia di un giorno ormai lontano 42 anni, mentre rientrava ai box con due caschi in mano. Un uomo solo, un pilota solo, due caschi Ferrari da riportare a casa. Lo sguardo, perso lontano, a immaginare - o forse a non volerlo fare - il futuro da quel momento in poi.
L'annuncio, la perdita, il dolore collettivo. La Formula 1 che va avanti, perché anche di questo è fatto il motorsport, e il ricordo. Di una leggenda mai realizzata davvero, mai sufficientemente vittoriosa, di un giorno che compie 42 anni e di uno scatto, crudo e vero, che racconta tutto ciò che c'è da sapere.