Per chi ha memoria Gino Borsoi è il cobra. È così dal giorno in cui, in un turno di prove libere per il GP della Malesia 1998, uccise un cobra in pista. Oggi, comunque, è soprattutto uno dei migliori Team Manager della MotoGP, l’uomo che un giorno potrebbe prendere il posto di Davide Tardozzi in Ducati. È allegro Borsoi, gli piace scherzare anche quando un altro al posto suo si sarebbe disperato. Come a Valencia, dopo l’ultima gara della stagione.
Nelle corse spesso puoi dividere le cose tra cuore e ragione: la meccanica e il pilota per esempio, oppure i punti e lo spettacolo, i tempi sul giro e il genio di una manovra sregolata. Il cuore, agli uomini del Team Prima Pramac, aveva suggerito che il mondiale si sarebbe potuto vincere davvero. La ragione del giorno dopo, del lunedì, ha ricordato a tutti che quella appena finita è stata la miglior stagione mai vista da quando, nel 2002, Pramac si presentò nel motomondiale. Il gruppo guidato da Gino Borsoi lascia Valencia festeggiando il campionato a squadre, il primo per un team satellite, assieme al titolo di miglior team indipendente e al secondo posto nella classifica piloti. Tutto questo Gino l’ha fatto accadere, assieme ai piloti e al suo gruppo di lavoro, al suo primo anno in Pramac.
In questo lunedì a Valencia ci incontriamo nel suo ufficio, al piano superiore del camion che ospita i ricambi per le moto. Sulla scrivania Gino Borsoi ha appoggiato El Arte de la Guerra di Sun Tzu: “Allora, questa è la versione spagnola, però ho cominciato leggendo quest'altra”, dice mostrando una copia in italiano. “L’ho comprato l’anno scorso in Italia, quando sono andato a fare Natale con i miei. L’ho comprato perché sapevo di dovermi preparare per la guerra con i rossi e quindi ho detto vai, magari capisco un po’ meglio quello che devo fare. Poi ho pensato di prendere anche l'edizione spagnola, che magari mi avrebbe aiutato a capire un po’ meglio… oh, secondo me devo rileggerli tutti e due perché se quest’anno abbiamo perso vuol dire che qualcosa non l’ho capito”. A Gino Borsoi piace scherzare.
Il duro mestiere del Team Manager
Rimaniamo a chiacchierare una mezz’ora, lui parla di tutto: il segreto del suo lavoro, che a sentire lui sembra quasi roba da psicologi, Bagnaia e Martín che condividevano il letto, il motivo per cui gira con una copia del regolamento e una proposta per Michelin, per arrivare a Marc Marquez in Ducati che “Solo chi non capisce di moto non l’avrebbe preso”.
Allora Gino, è stata la tua prima stagione in MotoGP, ma anche la prima di un sacco di cose per voi: il title sponsor ha portato bene.
“Prima stagione, prima volta che un team indipendente è campione del mondo (ride). Poi abbiamo fatto la prima moto più di qualche volta, diciamo che lo sponsor Prima ci ha portato fortuna".
I colori ricordano un po’ la Honda RC30 di Oscar Rumi.
“I colori sono belli, poi la verità è che quando vinci qualsiasi grafica va bene. È stata una stagione intensa, molto bella. Per me è stato il primo anno e devo essere super contento per quello che abbiamo fatto, raggiungere questi risultati con una squadra non ufficiale era quasi impensabile. Ducati comunque ci ha aiutati molto: non ha mai tolto niente, ci ha sempre fornito i dati, le informazioni, il materiale ... ce la siamo potuta giocare con gli altri, ma soprattutto con loro, fino a fine stagione, è stata la cosa più onesta e bella da vedere. La fabbrica non ci ha tolto la possibilità di lottare per il titolo e credo che non l’avrebbe fatto nessuno”.
Senti, a inizio stagione sei partito con qualche dubbio su te stesso?
“Eh si che avevo dei dubbi, inutile nascondersi dietro la porta. Li avevo anche se ho passato tanti anni nel paddock e con Aspar eravamo già stati in MotoGP. Al tempo però non avevamo una moto ufficiale ed era impensabile fare risultati, anche la metà rispetto a quelli di quest’anno, perché comunque c’era molta differenza tra le moto. Nelle ultime stagioni invece la differenze tra le moto si è appiattita. Da un certo punto di vista è bello perché ti permette di fare risultato, dall’altro lato ci sono molti più piloti in pista che possono vincere e se non lo fai tu lo fa qualcun altro”.
Quanto cambia il mestiere di Team Manager dalla Moto3 alla MotoGP?
“Non si discosta granché, è abbastanza simile. Diciamo che ci sono più impegni per quanto riguarda interviste, televisione, più riunioni - non solo con IRTA, ma anche con la fabbrica - e più cose a cui devi stare attento. Ma alla fine sono sempre due ruote, un motore e dei piloti”.
Ora tu negherai tutto, ma è un dato di fatto che per il paddock vieni considerato tra i migliori Team Manager della MotoGP. Cosa ci vuole per essere bravi nel tuo mestiere? Dove si fa la differenza?
“Ah, non so perché la gente abbia questa idea di me! Io non lo so, cerco di essere me stesso e di aiutare i piloti quando hanno bisogno, non solo in pista ma anche a casa. Cerco di avere un buon rapporto sempre e comunque con loro, poi probabilmente la mia mentalità da ex pilota mi fa capire e mi fa ricordare, quando ci sono i momenti difficili, che bisogna stare vicino al pilota. Ci sono certe cose che vanno dette in un certo modo o in un momento specifico. Tutte queste cose, con il background che ho avuto, fanno in modo che il rapporto col pilota migliori, poi quando l’ambiente funziona anche i risultati arrivano. La verità è che considero l’ambiente importante almeno quanto l’aspetto tecnico: puoi avere un gran pilota e una gran moto, ma se il clima non è buono non vai da nessuna parte. Magari fai un risultato sporadico, il mondiale però non te lo giochi”.
Gino Borsoi e quel campionato perso per un punto
Ti viene mai voglia di salire su di una di queste MotoGP e fare qualche giro, giusto per sfizio?
“Mah, onestamente… Io ho smesso di correre nel 2004 e ho continuato a fare il collaudatore fino al 2010. A quel punto ho smesso completamente, ho provato una Superbike a Valencia nel 2012 ma andavo talmente piano che mi veniva da ridere, poi da lì non sono più andato in pista. Non provi più le emozioni di prima, corri con l’ansia di non saper frenare bene, di non entrare in curva bene… sei talmente distante da una guida professionale che non ti diverti più”.
Questo perché probabilmente dentro di te sei ancora un pilota vero, di quelli che si divertono solo andando forte.
“Probabilmente sì. Comunque poi mi sono dedicato alle gare in kart e non andavo nemmeno male, ho perso il campionato valenciano per un punto all’ultima gara”.
Come hai fatto a perderlo?
“Era 2019, prima del covid. Per la prima gara, che si correva dalle parti di Barcellona, arrivavo dai test del Qatar, quindi ero stato fuori due settimane. Solitamente in questi campionati l’organizzatore ti manda una mail su dove fare la benzina, dove si entra in circuito… io quella mail non l’ho letta, così ho fatto benzina da Repsol, al solito distributore. In qualifica faccio la pole, primo tempo. Quando arrivo al parco chiuso però mi controllano la benzina e lì scopro che per l’occasione ne avevano scelta un’altra: mi hanno squalificato e sono partito ultimo, anche se in gara ho fatto quinto”.
Partendo ultimo?
“Sì, ma la morale della storia è che ho buttato via il campionato per non aver letto il regolamento. Ecco, da quella volta me lo porto sempre dietro (ride)”.
Beh, si spiega quando, ad Austin 2021, arrivasti col famoso regolamento in mano restituendo la vittoria a Izan Guevara. Senti, tra i giornalisti sono già partite le scommesse sugli anni che ci vorranno prima di vederti in Ducati. Che ne pensi?
“Beh, intanto di là c’è il mio carissimo amico Davide Tardozzi, che stimo molto. Per me è un maestro, devo ancora imparare molto per arrivare al suo livello e Ducati ha ancora bisogno di lui. Un domani, se divento più bravo di lui, chissà…”
Jorge Martín e Pecco Bagnaia in questa MotoGP
Parliamo di questo finale di stagione: che pilota è Jorge Martin?
“Penso che l’abbia visto tutto il mondo: è un pilota rapidissimo, esplosivo, un pilota con un talento incredibile. E sotto certi aspetti che avevamo identificato all’inizio dell’anno è migliorato moltissimo, specialmente la domenica. Gli abbiamo dato dei consigli e lui è riuscito a metterli in pratica: è diventato meno esplosivo - che era quello che volevamo - ma meglio preparato per la gara”.
Gli mancava un po’ di ripetitività, di costanza diciamo, per la gara della domenica?
“Il suo stile era veramente aggressivo: sul giro secco riusciva anche a fare la pole, poi in gara faceva un po’ fatica. Forse il motore non era performante come quello sulla moto ufficiale e la cosa potrebbe avergli reso la vita un po’ più difficile, diciamo che gli mancava qualcosina e nel corso dell’anno è riuscito a mettersi a posto”.
Fra tutti i piloti che hai avuto cos’ha Jorge di diverso dagli altri?
“Alla fine è un talento, come Pecco. Non dico siano simili, ma sono entrambi talenti puri: hanno tutti e due una gran staccata, durante l’anno Jorge è migliorato molto su questo e si è avvicinato molto alla frenata di Pecco in cui però continua lui a essere il migliore. Direi che Jorge invece è un po’ meglio per quanto riguarda l’uso del gas e l’uscita di curva. C’è un grande equilibrio, poi i risultati sono abbastanza simili”.
È vero che essendo molto muscoloso può tenere la moto un po’ più bassa e averla quindi più stabile rispetto ad altri piloti Ducati?
“Se guardiamo le due moto di Martín e Zarco sì, la moto di Jorge è più bassa”.
Secondo te dove ha perso il mondiale quest’anno?
“Dove l’abbiamo perso”.
Giusto.
“Un po’ qui e un po’ lì. Qualche errorino l’abbiamo fatto anche noi come squadra, oltre ad alcune situazioni di cui non siamo responsabili. Poi la caduta (in Indonesia, ndr) non ha aiutato, ma quello è normale perché in una stagione come quella di quest’anno - con 40 gare - non cadere mi sembra abbastanza improbabile, è questione di statistica. Se vuoi andare forte succede, ovviamente non è un disastro. Però sai, quando guardi al mondiale…però ripeto, anche noi qualche errore l’abbiamo fatto”.
Siamo a Valencia, ci sono i test. Tu sei stato l’uomo che ha portato Pecco Bagnaia in MotoGP quando ancora era un pilota di Moto3. È vero che è andato più forte del pilota titolare?
“Allora, il pilota titolare era Yonny Hernandez. Come tempo assoluto no, ma nell’ultimo settore Pecco era già andato più forte di lui. Dopo quattro giri, voglio dire… (ride). Roba da matti”.
Vedi che allora è anche colpa tua se ha vinto questo!
“Ha capito da subito che poteva andare forte in MotoGP e sono due anni che lo dimostra. Ricordare quegli anni lì è veramente un piacere, Jorge e Pecco in squadra assieme me li ricordo bene, dormivano in GP Room assieme e nello stesso letto. È stato un bell’anno, si volevano bene e c’era un ambiente incredibile in quella squadra. È stato bello”.
Come ti risolvo la MotoGP: la regola delle pressioni, le concessioni e il futuro
Parliamo di regole, a partire da quella delle pressioni: è da cambiare? Come gestiresti la cosa?
“Onestamente non capisco il vero motivo per cui hanno messo questa regola. Dicono che sia per un discorso di sicurezza ed è chiaro che se parti con una pressione bassissima ci può essere un problema, però chi vuoi che lo faccia? A un certo punto perdi prestazione e non ha nemmeno senso abbassare troppo e non credo di aver mai visto una gomma scoppiare o uscire dal cerchio per bassa pressione. Tra l’altro è paradossale perché con una pressione un po’ più bassa rispetto alla media vai più forte, il pilota rischia meno, ha più feeling… se dovessimo guardare alla sicurezza sarebbe più sicuro correre con medie più basse. Si è visto in Malesia con Enea Bastianini e Pecco Bagnaia: sono partiti con pressioni bassissime e hanno fatto una gara incredibile. Magari non per la pressione, ma quando il feeling con la moto è migliore riesci ad andare più forte. E poi a fare le pressioni magari sbagli anche in buona fede, perché dipende anche dalla gara che farà il tuo pilota”.
Non potrebbe essere un’idea, come dice Livio Suppo, di misurare le pressioni in griglia?
“Si potrebbe… però anche lì c’è una scappatoia: in griglia aumenti la temperatura delle termocoperte, aumentando quella sale anche la temperatura della gomma e con lei la pressione. Per me questo lavoro dovrebbe farlo Michelin: decidono loro, gonfiano la gomma e poi mettono un sigillo e te la portano, finita lì. Nessuno si metterebbe a discutere”.
A te piace il monogomma?
“Ma sì, perché no. Ti offre la possibilità di giocartela ad armi pari e togli un’equazione da tutti i problemi tecnici durante il fine settimana… sempre ammesso che vada tutto bene (ride)”.
Cosa pensi invece delle nuove concessioni?
“È chiaro che quando delle case costruttrici sono un po’ in difficoltà come Yamaha e Honda un po’ devono essere anche aiutate, dico solo un po’ perché c’è un gran clamore su questi due anni di Ducati che sta dominando ma la verità è che l’hanno meritato. Quando vincevano i giapponesi nessuno si lamentava, c’erano delle concessioni anche in quegli anni ma parliamo di poca roba, poi erano per chi arrivava in MotoGP. Ora sembra che senza aiuti non siano in grado di arrivare, eppure mi sembra strano che non riescano a raggiungere il livello di Ducati. Per lo spettacolo e per il mondiale sarà meglio così, ovviamente se riescono a usufruire al meglio di queste concessioni, e questo va bene per tutti”.
Però per chi ha lavorato… è un po’ come un grosso condono fiscale.
“Eh, esattamente (ride)”.
Cosa ti aspetti l’anno prossimo dai tuoi piloti, Jorge e Franco?
“Franco devo ancora imparare a conoscerlo, sicuramente dovremo aiutarlo in tutto e per tutto. Lui è un gran pilota, ha un gran talento. Quello che ha portato a casa in questi anni non è quello che secondo me si meritava, può fare molto di più e quello che voglio è cercare di dimostrare a tutti che è un pilota veloce, che può vincere le gare. Difficile in questo momento pensare al mondiale con lui, deve anche adattarsi al team e alla moto. Con Jorge invece non dobbiamo sbagliare niente, perché se non l’ha vinto quest’anno lo può vincere il prossimo”.
Marc Marquez sulla Ducati: come pensi che andrà?
“Come dicono in Spagna… eh, in un’intervista non lo posso dire. Però sarà molto doloroso, diciamo che diventerà un gran problema per tutti!”.
Tu l’avresti preso?
“Diciamoci la verità, chi non l’avrebbe preso? Un folle non l’avrebbe preso, uno che non capisce di moto”.
Una sorpresa l’anno prossimo?
“Secondo me Morbidelli”.
Non solo è la risposta giusta, è anche vero. Il favorito sarà ancora Pecco Bagnaia?
“Ah, è due volte campione del mondo, due volte che la vince… e quest’anno per lui forse è stata anche più dura, c’è stato anche un momento di tensione tra di noi perché quando hai le stesse armi non puoi nascondere niente”.
Che farai in questa pausa invernale?
“Se decidono di aumentare ancora il numero di gare tra un po’ mangiamo il panettone nel box, infatti ai test dell’anno prossimo pensavo di portare l’albero di Natale ai test di Valencia. Lo accendiamo qui, capito? Poi le ferie… ma quando le fai le ferie, non c’è tempo. In aereo magari, tra una gara e l’altra”.