Fabio Di Giannantonio è come quella canzone di Antonello Venditti, Che Fantastica Storia è La Vita. A settembre, in un’intervista non concordata a Sky, senza un copione in mano né tantomeno grosse prospettive per il futuro, aveva detto che a suo figlio avrebbe raccontato di essere stato in MotoGP, tra i grandi. Poi le belle gare, le porte di Honda che si aprono, l’accordo che sembra chiuso e, a quel punto, l’intervento dei giapponesi e l’ingresso in trattativa di Luca Marini, che firma con HRC lasciando a Fabio un’occasione sola per dimostrarsi, in un giorno, il più veloce al mondo su una moto. Quell’occasione si chiama Gran Premio del Qatar, Fabio lo vince. A suo figlio potrà dire di aver vinto lì, di essere salito in cima al podio. Quel giorno Diego Tavano, il suo manager, versa lacrime in diretta. Lo aveva fatto anche in qualifica. Diego viene dal calcio e questo lo vedi subito, basta osservare la leggerezza con cui cammina nel paddock, vicino alle corse ma mai così dentro da farcisi inghiottire. È uno che sta col pilota davvero, alla Carlo Pernat. È anche trent’anni più giovane però, quindi è tra i pochi manager che col suo pilota ci va a cena e pure a ballare. Quando Fabio è davanti si agita, soffre. Ci ha raccontato di questi ultimi mesi, dal momento in cui sono cambiati i rapporti con la Gresini Racing fino al giorno in cui, nel primo lunedì dopo il finale di stagione, il VR46 Racing Team ha annunciato Fabio come nuovo pilota per la prossima stagione. Quando lo chiamiamo ha appena finito di portare le figlie a equitazione: "Ho anche un maschio che gioca nella Roma, ma ha 12 anni... l'importante è che si diverta".
Allora Diego, che ambiente è la MotoGP? Tu sei spesso alle gare, eppure questo mondo lo vedi comunque con un occhio pulito, più esterno rispetto a tanti altri.
“Per me la MotoGP rappresenta emozione. Io sono nato e cresciuto in un mondo completamente diverso che è quello calcistico. Il paddock mi ha rubato subito il cuore, probabilmente anche grazie a Fabio, per la persona che è. Ho iniziato a Silverstone 2018, tra l’altro neanche si corse per un acquazzone incredibile e da quel momento ho fatto tantissime gare, vengo spessissimo e mi piace. Chiaramente devo pensare anche a equilibrare la cosa con la famiglia e gli altri atleti che seguo nel mondo del calcio, però mi capita spesso di esserci perché mi piace proprio”.
Rispetto al calcio dev’essere un ambiente piuttosto aperto.
“Ci tengo a precisare che nel motociclismo le ansie e le emozioni sono tutte amplificate rispetto al calcio. Io le vivo così, poi anche nel calcio mi sono capitate cose stupende, come il gol di Edoardo Bove con il Bayer Leverkusen in Europa League, però… nelle moto è tutto amplificato per dieci. E anche il pathos di una gara non è quello di una partita. C’è una differenza incredibile. Io ho vissuto nel mondo del motociclismo sia la parte negativa che quella positiva e quello che mi ha colpito davvero è che non c’è mai stata dietrologia. Quello che è avvenuto - anche se in modo cinico - è avvenuto senza strategie, mentre il calcio è un po’ contaminato”.
In MotoGP le scelte dei manager sono quasi sempre banali: se vai forte stai dentro, se non ci riesci te ne vai.
“Esatto. Poi chiaramente non devi mollare un centimetro, nel nostro momento di difficoltà ho fatto di tutto e di più per cercare di convincere il mondo che Fabio fosse la scelta giusta, poi alla fine penso che il 90 percento del lavoro lo abbia fatto lui con questa seconda parte di stagione stellare. Nel calcio invece c’è molta più strategia e i meriti, a volte, vengono dopo la politica. In tutto questo la mia vita da manager la vivo un po’ come il film Jerry Maguire: vado cercare il talento e gli offro tutto, anche le mie energie, cercando di supportarlo e non farlo sbagliare, standogli vicino nei momenti di difficoltà. Nella vita di un atleta ci sono momenti durissimi ed è lì che il manager è fondamentale. La vivo così con Fabio, ma anche per tutti gli altri”.
In Jerry Maguire c’è una scena - oltre all’iconica ‘coprimi di soldi’ - in cui Tom Cruise corre in una copisteria e il commesso gli dice che si diventa grandi con le palle appese a un filo. Ci rivedi Fabio?
“Sì, è vero. È vero, vero vero. Fabio è stato incredibile, quello che abbiamo vissuto negli ultimi tre mesi è da libro. Devo dire che lui ha citato spesso il suo gruppo di lavoro durante le interviste e questo non è da tutti. Vuol dire che lo abbiamo reso sereno dandogli la possibilità di tirare fuori… beh, le palle. Ha un carattere immenso e un grandissimo talento, secondo me è solo all’inizio”.
Hai detto che sono stati tre mesi durissimi. Marc Marquez ha annunciato il suo passaggio in Gresini il 15 ottobre: lo sapevate già?
“Quando ci hanno spostato l’opzione da fine luglio ai primi di settembre la cosa non c’era piaciuta granché, ma abbiamo capito che eravamo appesi al famoso filo. Quindi è dal primo agosto che si lotta per dimostrare di meritare un posto. L’annuncio di Marquez è stata una data fine a sé stessa, a noi è dispiaciuto perché il progetto poteva andare avanti, era quello che ci eravamo detto assieme a Fausto. Poi mi sono confrontato con Nadia: anche lei era dispiaciuta, però l’avvento di un pilota di tale spessore dal punto di vista aziendale e sportivo muove tanto e la capisco: da una parte hai il ragazzino che ti sei cresciuto, dall’altra un campione di enorme caratura. Ci sta, col team ci siamo lasciati benissimo e alla fine abbiamo capito, anche se con un po’ d’amaro in bocca”.
È anche vero che Marc Marquez a queste condizioni l’avrebbe preso chiunque.
“La cosa bellissima di Fabio è stata anche questa, ha capito che stava accadendo qualcosa di molto particolare. A quel punto ha lavorato per dimostrare che lui c’è. Come dice Guido Meda, no? Diggia c’è. È stato bellissimo sentirglielo dire”.
A vederti dopo la gara sembrava quasi che tu avessi corso in moto con lui.
“Sai che c’è? Io, Fabio e Fob (l’assistente, ndr.), assieme alle altre persone che lo seguono, condividiamo qualsiasi emozione. Dopo mesi in cui non riesci a far quadrare i conti… Baudelaire diceva che le emozioni più belle sono quelle che non si riescono a spiegare ed è vero. Quello che avete visto in diretta sono io, mi è successo con Fabio ma non riesco a spiegarlo”.
Come sono andate le trattative? Honda e Alberto Puig, gli sviluppi di questa cosa…
“Diciamo che con Honda avevamo gettato le basi per il contratto in Thailandia. C’era anche una trattativa economica, non si è chiuso niente perché a Buriram volevamo solo gettare le basi. In teoria subito dopo avremmo dovuto chiudere, tant’è che lo stesso Alberto Puig mi aveva detto che fare il viaggio fino alla Malesia non avrebbe avuto senso, perché il contratto era chiuso e mancavano solo i dettagli. Invece… quando ho capito che le cose stavano cambiando è stata dura. Honda era l’ultima spiaggia ma sapevamo che se non avessero scelto noi avrebbero preso un altro della MotoGP, su questo Puig era stato molto chiaro e onesto. Pensavamo che l’alternativa potesse essere un pilota Aprilia, cosa che per noi avrebbe rappresentato un’altra opportunità. Quando hanno scelto Luca Marini è cambiato tutto un’altra volta. Si sentivano voci su di un rookie (Fermìn Aldeguer, ndr), cose del genere… ma ci siamo concentrati e Fabio ha pensato solo alla pista”.
Sembra che ad aprire le porte a questa trattativa siano stati i giapponesi, mentre Puig era già contento con Fabio. È così?
“Così sembra. La verità è che un po’ ci è venuto da ridere: prima Marc Marquez in Gresini, poi i giapponesi che sovvertono la scelta di un Team Manager - almeno così sembra, non vorrei che Alberto si offendesse - ma si andava verso un anno di contratto e l’unico ad accettarlo era Fabio”.
Cosa può imparare la MotoGP dal mondo del calcio?
“È chiaro che non sono mondi simili, però credo che potrebbero fare anche in MotoGP le finestre di mercato come ci sono nel calcio. Questa apertura totale con contratti firmati e cose che possono cambiare in qualsiasi momento - anche come è successo a noi - è un po’ paradossale. Io farei delle finestre in cui si possono fare trattative: aiuterebbe un pochino, no? Anche per fare contratti e sponsorship, tanti hanno messo dei budget che magari avrebbero investito in un’altra maniera”.
Chi è Fabio Di Giannantonio? La reazione che ha avuto, l’idea di concentrarsi solo sul risultato, è stata una cosa veramente grossa, forse anche più della vittoria.
“La vera vittoria è stata quella, è rimasto freddo in un momento di incertezza estrema. Lui aveva preso un impegno per comprarsi una casa. Continuare in MotoGP gli avrebbe permesso di poterla pagare in modo tranquillo, altrimenti chissà. Quindi ecco, in quel periodo lui aveva pure una casa sulle spalle. Non so da dove abbia tirato fuori tutto questo, anche se mi sento di dire che ormai lo conosco benissimo. Ora è un uomo, ha sensibilità, è generoso, con dei valori importantissimi che gli ha trasmesso la famiglia. Poi è una persona equilibrata e anche se ha i suoi sbalzi d’umore glieli concediamo quasi volentieri, è una persona vera. Quando lavori con atleti così, anche tu da manager ci metti qualcosa in più”.
Pensi che ora, con la firma, si trasferirà in Riviera?
“No, no, no, no… Lui starà a Roma, nella sua città. Tante volte ci ha pensato, però alla fine lui sta bene lì, il suo habitat è la capitale. Tralasciando la casa stupenda che ha appena comprato lui ha bisogno proprio di Roma: i suoi amici, le sue abitudini, anche questo lo rende forte e probabilmente tutto ciò che non è a casa sua sarebbe una forzatura e non andrebbe bene. Detto questo, siamo stati a firmare il contratto per esteso a Tavullia e loro hanno dimostrato una disponibilità totale a seguire Fabio, a dargli tutto. È un ambiente spettacolare, sono magnifici e si stanno comportando in una maniera incredibile”.
Nel 2024 ti toccherà tornare nel paddock…
“Assolutamente, e chi manca? Ormai ce so’ dentro co’ tutte le scarpe. Ci sta, c’è grande ottimismo, lui sente di essere tra i più bravi e dobbiamo continuarla insieme: se questa unione fa questo tipo di forza che fai? Dobbiamo continuare, cercherò di stare con lui il più possibile”.