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Giò Di Pillo: Ho parlato con Troy Bayliss e sta bene, al contrario del mondiale Superbike. E sto scrivendo un libro

  • di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

20 maggio 2021

Giò Di Pillo: Ho parlato con Troy Bayliss e sta bene, al contrario del mondiale Superbike. E sto scrivendo un libro
Giò Di Pillo ha parlato con Troy Bayliss, che fortunatamente ha scongiurato la paralisi. E attacca il mondiale Superbike: “Nessuno dice la verità, ora c’è un cartello” per poi dare qualche anticipazione del libro che sta scrivendo, Race Your Dreams. “La gente impazzirà leggendolo. Potrei scriverne uno solo con i retroscena del Motorshow”

di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

Troy Bayliss si è rotto una vertebra in bicicletta, rischiando la paralisi. Così abbiamo telefonato a Giò Di Pillo, che lo conosce bene e di cui ci ha raccontato degli aneddoti spaventosi, per avere qualche notizia diretta sulle sue condizioni. Poi però, come al solito, ne abbiamo approfittato, parlando di Superbike e del libro esplosivo che sta scrivendo. Ecco cosa ci ha raccontato.

Hai parlato con Troy Bayliss, come sta?

“Per fortuna sta bene. Non muove bene le gambe, ma l’hanno rimandato a casa. Ha un’edema, ma di buono c’è che secondo i medici non si tratta di un’interruzione del flusso dei nervi. Dovrebbe essere soltanto una compressione dovuta alla botta che ha preso”.

Lui come l’ha presa?

“È ancora parecchio frastornato, ma se l’hanno rimandato a casa è perché sono tutti sereni e tranquilli. Altrimenti l’avrebbero immediatamente ricoverato e avrebbero iniziato terapie e riabilitazione. Troy ha difficoltà a muovere gli arti, è un po’ intorpidito e si muove male, ma solo perché ha questa grossa compressione causata dall’edema conseguente alla frattura”.

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A proposito, questo weekend comincia la Superbike.

“Sono contento, ma se devo dire la verità preferivo la Superbike di una volta”.

Perché?

“Una volta i due campionati erano molto diversi, ora si assomigliano di più, anche in termini di tempi sul giro. Questo nonostante il fatto che un campionato sia dedicato alle derivate di serie e l’altro ai prototipi. Comunque lo spettacolo è sempre grandioso”.

Stai scrivendo un libro che è una cannonata.

“Si, una bomba. Ma è lunghissimo, o ne faccio tre o viene una cosa infinita. Solo tutte le storie del vero Motorshow di Bologna potrebbero fare un libro. Cose pazzesche”.

Come lo vuoi chiamare?

“Ride Your Dreams, ma vedremo. Guida i tuoi sogni, inseguili, vai. E basta, manubrio in mano, gas aperto e via”.

Ci serve un’anticipazione.

“Che vuoi anticipare, si raccontano i retroscena veri di trenta, quaranta… forse anche cinquant’anni porca puttana. La prima intervista l’ho fatta nel 1974 a Giacomo Agostini. Sono gli anni di un osservatore innamorato di questo mondo che ha vissuto alcuni dei momenti più folli di ogni specialità. Perché il culo che ho avuto io è stato di essermi trovato più o meno ovunque. Ho iniziato col motocross ed era qualcosa di meraviglioso. Poi sono passato al motomondiale dove c’erano Spencer, Lawson, amici che non dimenticherò mai. E poi la Superbike nascente. Io le 500 vere, quelle due tempi, le ho guidate. Pesavano 120 chili e avevano qualcosa come 200 cavalli. Ho avuto questa fortuna inaudita e ne parlo in modo scanzonato. Personaggi, piloti e soprattutto retroscena. La gente dovrebbe sapere chi era davvero Haga, o quello che succedeva dopo le gare”.

Finita la telefonata devi finire il libro però, ormai vogliamo leggerlo.

“Ma solo parlare di Falappa… È una cosa inaudita. Al Motorshow, il giovedì prima dell’apertura, provavamo i numeri sul piazzale numero 48… Se la gente sapesse davvero come andavano le cose forse impazzirebbe. Ti dico solo questa: Alfredo Cazzola (che all’epoca gestiva il Motorshow, ndr.) riesce a scoprire che le Olimpiadi di Los Angeles sarebbero state inaugurate dall’unico uomo al mondo che aveva uno zaino a razzo, con cui aveva fatto anche il film di 007.”

D’accordo.

“Lo chiama, lo fa venire (ride), gli costa come un appartamento in centro… C’è la nebbia, un casino. Lui prende il razzo nel piazzale, inizia a prepararsi con tutto il triumvirato del Motorshow in silenzio che osserva. Io comincio a cantare Rocket Man di Elton John. Lui parte, tutti i razzi sparati, fumo da ogni parte, un casino. E va via, sale a trenta metri da terra. Una cosa incredibile, noi rimaniamo lì a bocca aperta a guardarlo. Lui ci guarda dall’alto e ci fa ‘Ok?’ noi sbigottiti gli facciamo di sì, ok. E lui di colpo va a sbattere fortissimo su di un palo della luce finendo sul tetto. Abbiamo dovuto chiamare i pompieri per raccattarlo”.

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