È giusto correre? È giusto soprattutto chiederselo come hanno fatto Alex Rins, Pecco Bagnaia e tanti altri. Ed è giusto dire che sarebbe stato meglio non farlo perché è quello che bisogna dire in questi casi. Questa notte durante il warm up José Antonio Rueda, che solo un paio di settimane fa in Indonesia si intestava il titolo di campione del mondo, colpisce da dietro Noah Dettwiler, un colpo micidiale che spara entrambi i piloti a terra.
La dinamica non è stata del tutto chiarita ma è facilmente comprensibile: a Moto3 (e Moto2) viene data meno importanza rispetto alla MotoGP, il che sarebbe anche sensato se questo non andasse ad impattare sulla sicurezza, da un paio d’anni infatti che nelle categorie minori il warm up della mattina è stato cancellato per favorire il giro dei piloti MotoGP su quella sorta di carro bestiame con cui salutano i fan e lanciano magliette. Una precisazione: come warm up è inteso un turno di prove libere, ed è quello rimasto soltanto alla MotoGP. Il warm up lap invece, che rimane per tutte e tre le classi, è un giro di ricognizione che viene effettuato prima dell'inizio della gara.
Succede quindi che in Moto3 i piloti hanno due giri per provare la moto e verificare condizioni di mezzo e pista prima di partire, motivo per cui questi giri vanno fatti forte, non come in MotoGP dove il warm up della domenica mattina c’è ancora (per quanto duri soltanto 10 minuti) e il giro viene fatto il più lentamente possibile per risparmiare gomme e soprattutto benzina. E succede, in questo caso, che la KTM del Team CIP Green Power ha un problema, o almeno così pare dalle ultime informazioni arrivate dal paddock.
Rueda tampona violentemente Dettwiler, pilota svizzero di vent’anni, finiscono entrambi a terra e viene data bandiera rossa. Poche immagini, il che è forse la notizia peggiore. Elicottero, gara posticipata e poi fatta ripartire con 11 giri appena mentre ancora dei due piloti non si sa niente. Finisce la gara, vinta da uno straordinario Taiyo Furusato, eppure dei due piloti si continua a non sapere nulla. Il tanto abusato silenzio assordante. La Moto2 viene posticipata, si corre la MotoGP. Verso metà gara, gli uomini del Team Red Bull KTM Ajo raccontano che José Antonio Rueda ha avuto diverse contusioni e una frattura, niente di davvero grave.
Di Dettwiler però non si sa nulla. Solo ore più tardi sapremo, da suo padre Andy tramite i colleghi svizzeri di Blick, che Noah ha avuto diversi arresti cardiaci e che attualmente si trova all’ospedale di Kuala Lumpur, a pochi chilometri dal tracciato. In Malesia non si perdono le speranze, tuttavia è difficile non pensare al fatto che probabilmente il ventenne è in coma, indotto o meno, e che sta lottando per la vita.
Difficile non pensare a Jason Dupasquier per età, storia e categoria, difficile non pensare a Daijiro Kato quando si cerca un po’ di conforto pensando al fatto che Noah ha raggiunto l’ospedale, a Doriano Romboni che ci ha lasciati in controtempo, senza un momento solenne, una gara da vincere. A Marco Simoncelli che quattordici anni fa se n’è andato proprio lì, sul Sepang International Circuit. In ogni caso è durissima. In ogni caso la sera, quando le moto sono spente da un pezzo e qualcuno le ha già caricate dentro casse metalliche, mentre i giornalisti lasciano il circuito e i piloti tornano in hotel, il pensiero torna lì, a chi in hotel stasera non torna.
Viene da pensare alla situazione che è straniante per quanto brutta, ai piloti che non avrebbero voluto correre. Lo ha scritto Alex Rins, lo hanno detto Pecco Bagnaia e tanti altri. Ed è vero che viene da chiedersi se sia stato giusto correre lo stesso, se si è fatto tutto il possibile per evitare una sciagura come questa, se il motociclismo smetterà mai di essere pericoloso.
Viviamo tempi in cui la gente sceglie il bianco o il nero, sì o no, questo o quello. Viviamo tempi divisivi. Stasera ci scontriamo, un esercito avrebbe voluto farli correre e l’altro no. Eppure la scissione da fare, se proprio non possiamo fare a meno di dare sfogo al nostro istinto secessionista, è un’altra: c’è chi rischia la vita facendo il proprio lavoro e chi no. C’è chi scrive regolamenti, sentenze, articoli, storie e chi, invece, corre appeso a due manopole che sono le corna di un drago. La domanda giusta parte da qui, da chi siamo, di quale dei due schieramenti facciamo parte. È importante ricordarci da che parte della storia siamo noi prima di giudicare gli altri, altrimenti suona un po’ come quel film tragicomico degli anni Settanta, Armiamoci e partite. Meglio di no, meglio pensare a Noah e alla sua gente, meglio ricordarci tutte le volte che possiamo quanto il motociclismo possa essere, con grande disinvoltura e una straordinaria durezza, molto più di uno sport.