Andrea Dovizioso al RedBull Ring ha messo nel sacco una ri-vittoria. No, non è un errore e non ha nemmeno vinto due volte. Ma è un modo per dire che vincere prendendosi una rivincita vale due volte. Era chiaro, quasi scritto che il forlivese avrebbe dominato in Austria come ha sempre fatto negli ultimi anni. Lo sapeva anche lui, che non ha scelto a caso la giornata di ieri per annunciare la decisione di chiudere la sua storia con Ducati. Viene da chiedersi, ora, se questa ri-vittoria, unita alle reazioni dell’opinione pubblica che non ha affatto gradito le politiche di Borgo Panigale, potrà aprire gli spiragli a un ripensamento.
Ma, adesso, non è il momento delle ipotesi e bisogna stare ai fatti. Con i fatti che dicono che Andrea Dovizioso ha vinto una gara corsa in due tappe, interrotta dalla spaventosa parentesi dell’incidente tra Joahnn Zarco (uno che oggi s’è probabilmente giocato le ambizioni di salire sulla rossa ufficial) e Franco Morbidelli. Poteva essere uno snodo che avrebbe deconcentrato chiunque, soprattutto un Dovizioso che in quella prima parte di gara aveva dovuto fare i conti con un Jack Miller con il coltello tra i denti. Invece Dovizioso è tornato in pista e se l’è giocata alternando quel cavallo bianco e quel cavallo nero che stanno ai lati del suo casco: conservativo all’inizio, aggressivo quando c’è stato da consumare lo strappo. E’ bravo, Andrea Dovizioso, a consumare strappi.
Lo ha fatto anche ieri quando ha detto basta. Perchè certi amori quando vanno avanti per inerzia devono necessariamente poter contare su una parte che ha il coraggio di troncare. Questo coraggio, ancora una volta, ce l'ha avuto il Dovi. Uno che anche nel mandare a fanculo trova un profilo d'eleganza. E l'impressione è che abbia scelto anche il momento più giusto: la vigilia di una vittoria sentita se non annunciata.
La bomba l'ha sganciata Simone Battistella, il manager del forlivese, nel cuore di una mattinata scialba sia in termini sportivi che di contenuti, condizionata dall'asfalto mezzo bagnato di Spielberg. Un annuncio che ha avuto il sapore della liberazione e che ha colto molti di noi a tavola, pronti alla solita abbuffata ferragostana. "Era ora!" è stato il sentimento comune. Sia per chi non ha mai amato il Dovi e ora conta di vedere la rossa vincere con quello che è rimasto sul mercato (ma c è rimasto qualcosa di meglio del Dovi?"), sia per chi, invece, trovava ormai stucchevole e odioso vedere violentata la dignità di uno che comunque il suo l'ha fatto con la Ducati, essendo secondo solo a un certo Casey Stoner.
A proposito, Stoner è un altro di quelli che in Ducati sembrano voler cancellare. E questo ci stimola una malizia: ma non sará che il grosso limite di Borgo Panigale è la gelosia? Questi incrinano i rapporti coi piloti ogni volta che prendono coscienza che quegli stessi piloti diventano più amati della moto. Un modo di stare nel mondo racing che era caratteristico di un certo Enzo Ferrari. Ma con una differenza sostanziale: Ferrari vinceva e pure tanto. Non una volta sola e quasi per caso, come invece è nella storia recente di Ducati in MotoGP.
A Borgo Panigale è stato così anche per Valentino Rossi, ma il campione di Tavullia non ha mai trovato il feeling e possiamo anche capire e giustificare l'epilogo. Non riusciamo a capirlo e nemmeno a giustificarlo nel caso di Andrea Dovizioso, uno che ormai è Desmodovi. Uno che se pensi a lui pensi al rosso Ducati. Uno destinato a entrare nel cuore come Falappa, come Capirossi. Brutta storia, brutta davvero. La commentiamo a caldo, sull'emotivitá e magari con toni che andavano ragionati. Ma a noi non piace ragionare troppo sugli impulsi. D'altra parte l'avevamo scritto giá due mesi fa che, fossimo stati al posto del Dovi, avremmo giá mandato tutti a fanculo da un pezzo. E, adesso, stiamo godendo di brutto!