E così un altro “eroe” se ne va sbattendo la porta. La notizia è di un’ora fa, arrivata per il tramite di Simone Battistella, manager di Dovizioso: il rinnovo con Ducati non ci sarà, Andrea non correrà con la Casa di Borgo Panigale il prossimo anno. Troppi sgarri, troppe delusioni e alla fine, a quel paese, ce li ha mandati veramente. Ma a uscirne devastata, ancora una volta, è l’immagine dell’azienda bolognese. Dopo la disastrosa gestione Melandri, dopo il trauma Valentino Rossi, dopo aver obbligato Jorge Lorenzo a scegliere di andarsene proprio quando le cose cominciavano a girare per il verso giusto (salvo adesso cercarlo), ora è il turno di Andrea Dovizioso: il pilota più vincente dall’addio di Casey Stoner viene messo nella condizione di dire basta, di rifiutarsi di avere a che fare ancora con un team, una squadra, un’azienda così. Una situazione tanto assurda da rasentare il surreale. Una situazione che ci porta, ancora una volta a domandarci: ma che problemi ha Ducati con i suoi piloti? Com’è possibile che sistematicamente ci si ritrovi ai ferri corti con chi, più di tutti, avrebbe dovuto fungere da terminale di un gruppo di persone apparentemente tanto affiatato e tanto desideroso di fare bene?
Se Ducati fosse una persona, diremmo, forse, che ha un brutto carattere - “ma, è un amico, sai che vuoi farci?” come dice Renton, in Trainspotting, del violento Begbie. Ma la gestione di un’azienda deve - o meglio, dovrebbe - essere sempre improntata al massimo del pragmatismo: si fa quello che è meglio per il suo bene, per il suo profitto, per i suoi azionisti. Non rinnovare il contratto a Dovizioso è utile in questo senso? È questa la cosa migliore da fare in questo momento per l’azienda? Chiaro, facile darsi una risposta dal divano di casa. Essere a capo di una realtà come Ducati è estremamente complicato e Claudio Domenicali avrà fatto tutte le valutazioni possibili, cercando di scegliere per il meglio.
Ciò non toglie che, quanto accaduto con Dovizioso, sembri ripetere, ancora una volta, un pattern comportamentale - come vengono definiti in psicologia, proprio in riferimento ai problemi che cronicamente si ripercuotono di generazione in generazione all’interno famiglie - di cui abbiamo già avuto ampia testimonianza negli anni passati, proprio in casa Ducati. Cambiano gli uomini, cambiano i manager (una parte, almeno) ma le cose si ripetono: i migliori piloti del mondo entrano in quella squadra, faticano, cercano di cambiare le cose, non ce la fanno e vengono messi alla porta. È questo il comportamento più razionale che un’azienda può manifestare? È così che si ottiene il meglio per chi ci lavora al suo interno e per la sua proprietà? Perché se è vero che dal mancato rinnovo del contratto con Dovizioso, potrebbe scaturire un risparmio economico immediato (pare che la somma richiesta dal Dovi, a titolo di compenso, fosse decisamente maggiore rispetto alla disponibilità manifestata da Ducati in quest’annata tanto difficile per il mondo delle moto, a livello globale), è altrettanto vero che scelte di questo tipo, in passato, si sono dimostrate decisamente miopi. Per dire: ve lo ricordate Melandri in Ducati? Ve lo ricordate cosa diceva? Diceva che la moto era inguidabile, si prendeva due secondi a sessione e per tutta risposta venne mandato dalla psicologo.
È un’analogia brutale, è chiaro, ma il senso è questo: cosa sarebbe successo se si fosse dato ascolto a quello che Melandri diceva della moto, in quel periodo? Valentino Rossi avrebbe poi avuto a che fare con una moto più competitiva? Avrebbe potuto vincere dei titoli che adesso mancano in bacheca? Eppure non venne ascoltato. Si scelse di allontanarlo, di non scendere a patti con il proprio pilota. Ok, facile col senno di poi, direte voi. Vero. Cosa è successo poi? Dopo qualche tempo è arrivato Valentino. Stessi problemi, richieste analoghe, ascoltate solo in parte. Se ne andò anche lui non appena ne ebbe l’occasione e il risultato è che ora, nel museo Ducati, non c’è neppure un adesivo che ricordi il suo passaggio da quelle parti. Ok, facile col senno di poi. Vero. Ma come sarebbero andate le cose se la gestione di quel pilota fosse stata diversa? Forse Andrea Dovizioso, che lo sostituì nel 2013, avrebbe guidato una moto migliore. Forse sarebbero stati risparmiati dei denari, forse si sarebbero vinti degli altri titoli, l’azienda tutta ne avrebbe beneficiato. Ma non è stato così. E neppure le richieste di Andrea sono mai state soddisfatte in pieno. Al punto che, pure lui, nel 2017 rischiò seriamente di prendere armi e bagagli e mollarli tutti lì, nel loro brodo, con quel Lorenzo lì, nel box di fianco, a 12,5 milioni di euro a stagione, contro il solo milione e mezzo a lui destinato. Siamo sicuri che le cose non potevano essere gestite diversamente? È questo che i tifosi vogliono? Il brand Ducati ha un beneficio dal punto di vista dell’immagine da una gestione di questo tipo? Io tifoso, o simpatizzante, o appassionato di moto, apprezzo maggiormente il brand Ducati dopo che l’ennesimo pilota bravo e amato dalla gente viene allontanato per dinamiche apparentemente incomprensibili? A noi, francamente, la risposta pare una soltanto e l’impressione è che sia proprio quella che nessuna proprietà vorrebbe mai sentirsi dare.