Può un pilota di Formula 1 all'inizio della sua promettente carriera nella classe regina essere, contemporaneamente, completo ma infelice? Sì, può esserlo, e a raccontarlo è stato Lewis Hamilton che nel corso dei suoi primi anni in McLaren ha sofferto il peso del giudizio altrui, il razzismo di un pubblico ignorante e la difficoltà di essere l'unico pilota non bianco di tutto il circus e uno dei pochissimi di tutto il paddock.
Il sette volte campione del mondo ne ha parlato durante un'intervista rilasciata al Financial Times: "Non ero felice - ha spiegato Lewis, parlando del successo del suo primo titolo mondiale nel 2008 - Avevo realizzato il mio sogno, ma non ero io, non potevo essere io e non avevo fiducia in me stesso allora, quindi sono rimasto in silenzio. Reprimiamo così tante cose che non ci rendiamo conto del dolore che abbiamo sperimentato. Mentre guardavo le foto dei festeggiamenti della squadra, mi sono reso conto che le squadre erano ancora completamente bianche, c’erano pochissime persone di colore e mi sono chiesto come potesse succedere questo dopo che sono stato qui così tanto tempo".
Questo è uno dei motivi che ha portato Hamilton, dopo i disordini causati dalla morte di George Floyd e la nascita del movimento Black Lives Matter, a voler fare qualcosa di concreto per le minoranze che sognano di entrare nel panorama del motorsport, un mondo ancora oggi molto privilegiato e quasi completamente bianco.
"Tutto quello che è successo dopo la morte di George Floyd mi ha colpito duramente - ha continuato Lewis al Financial Times - Non potevo credere che così tante persone fossero ancora in silenzio su quello che era successo. Ora sono disposto a rischiare il mio lavoro, la mia reputazione. Voglio che la comunità nera sappia che li ascolto e che sono con loro".