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Hanno ucciso ancora Jules Bianchi

  • di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

10 ottobre 2022

Hanno ucciso ancora Jules Bianchi
Non è stato un errore, quello visto a Suzuka. È una mancanza di rispetto verso la vita dei piloti e la memoria di Jules Bianchi. A dirlo, con una rabbia che possiamo solo immaginare, è stato Philippe Bianchi, padre di Jules. Perché sotto la pioggia giapponese, a otto anni di distanza dall'incidente del figlio, una lezione non imparata glielo ha tolto un'altra volta

di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

Jules Bianchi è morto per colpa di due errori. Non è stato il rischio a ucciderlo, non è stata la Formula 1, il pericolo di questo sport o la casualità. Jules Bianchi è morto perché ha sbagliato, come fanno i piloti in dieci, cento, mille modi diversi ogni weekend. Peccano per malizia, per distrazione, per eccessi di ogni tipo o semplicemente per errori che neanche loro, spesso, sono in grado di spiegare. A Suzuka 2014 la pioggia non concedeva spazio per sbagliare, così come la poca visibilità, la mancanza di grip in pista, il buio che sopraggiungeva sulla pista giapponese.

Quando ha Jules ha sbagliato, uscendo di pista alla Dunlop nel corso del 43esimo giro dopo aver perso il controllo della sua monoposto, qualcun'altro però aveva commesso un errore molto, molto più grave di quello di un pilota. I piloti sbagliano, è normale. La commissione di gara quel giorno non doveva farlo. A Bianchi quel giorno non è stato concesso il privilegio della sicurezza, lo stesso avuto da Adrian Sutil solo un giro prima quando, scontrandosi contro le barriere, era uscito incolume dalla sua monoposto. A Bianchi quel giorno è toccato l'errore, la mancanza di visione d'insieme, di chi trovandosi a Suzuka per valutare rischi e pericoli della Formula 1 non ha fermato l'ingresso in pista di una gru di recupero, lasciando i piloti correre ad alta velocità in condizioni di scarsa visibilità.

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Pierre Gasly a Suzuka in pista con un mezzo di recupero

Jules Bianchi è morto per colpa di un errore altrui, non di un suo sbaglio. Perché le condizioni intorno a lui non gli hanno garantito la sicurezza adeguata, costruendo una lapide su quello che sarebbe potuto essere un incidente insignificante nella carriera di un ragazzo destinato a grandi cose. "Una persona straordinaria e un pilota eccezionale" ha detto oggi Pierre Gasly, con il terrore e la rabbia ancora scritti negli occhi dopo l'ennesimo errore, la mancanza, la semplificazione di una commissione di gara che fa acqua da tutte le parti. "Abbiamo tutti perso lui, sulla stessa pista e nelle stesse condizioni, e con una gru. Com'è possibile oggi rivedere un trattore?". 

E ha ragione Pierre, ha ragione anche se i 20 secondi di penalità che la FIA gli ha propinato per essere entrato in pista in regime di bandiera rossa e procedendo ad alta velocità sono giusti, ma non sono il punto. Pierre Gasly ha ragione perché un errore come il suo, quello di non aver visto bandiera, non gli sarebbe comunque dovuto costare la vita, cosa che invece sarebbe successa se avesse colpito il mezzo di recupero entrato in pista. Due mezzi, a dirla tutta, che sono stati avvistati anche da tutti gli altri piloti mentre si trovavano in regime di safety car. Andavano piano, certo, ma le gru non erano illuminate, la visibilità sotto la pioggia era pochissima e l'errore dei piloti è possibile - come abbiamo già visto in passato - anche in regime di safety car. 

Jules Bianchi
Jules Bianchi

Non sono quindi servite a niente quelle 396 pagine di report della FIA scritte dopo la morte di Bianchi? Non sono servite le indagini, i 12 punti per chiarire l'accaduto? Non è servita a nulla, la morte di Jules? Philippe Bianchi, papà del pilota francese, furioso sui social tuona: "Non c'è rispetto per la vita di questi piloti e per la memoria di mio figlio". 

E ha ragione. Ha ragione perché Jules a Suzuka è stato ucciso ancora. Dall'indifferenza di chi da una storia di perdita e sofferenza non sembra aver imparato niente. Non è tanto l'errore in sé ma la ripetitività di un gesto: peccare per semplificare, non ascoltare i ragazzi in pista, dare la colpa - tutta la colpa - al pilota, negare e negare ancora. Solo una volta che si è con le spalle al muro poi, messi davanti a una situazione in cui tutti i piloti si sono lamentati per la presenza di mezzi in pista, aprire un'indagine in cui sarà proprio la FIA a giudicare se stessa e a valutare eventuali errori commessi. 

La memoria di un figlio dimenticato è stata calpestata da chi, invece, non avrebbe mai dovuto dimenticare la lezione dell'incidente di Jules Bianchi. Perché la Formula 1 è rischio, è tragedia, è pericolo e sempre lo sarà. Ma proprio per questi si esige la perfezione da una Federazione che, al contrario, continua a navigare a vista. Mentre piove sul bagnato di una credibilità che non esiste più e no, non solo per colpa di Suzuka. 

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