Lo scorso anno sopra il cielo di Monza per Nyck De Vries tutti gli astri si sono allineati, chiari e precisi in una di quelle storie che, neanche provando a scriverla, sarebbe risultata così perfetta. In una carriera irregolare, fatta di alti e bassi, di proposte mai arrivate, sedili mancanti e seconde scelte, per l'olandese le cose hanno preso una piena inaspettata proprio quando forse anche lui aveva smesso di crederci.
Lui che aspettava un posto in Mercedes prima, magari andando a sostituire Valtteri Bottas al fianco di Lewis Hamilton, e un sedile in Williams poi, per prendere il posto di George Russell nella motorizzata Mercedes. Lui che fuori dall'orbita della Formula 1, dopo aver vinto il titolo in Formula 2 nel 2019, non è rimasto con le mani in mano ad aspettare la sua occasione: è passato in Formula E dove proprio con Mercedes ha conquistato il titolo nel 2021, si è cimentato nel WEC, correndo a Le Mans nel 2022. Ha collezionato esperienze, successi, competenze e conoscenze.
Il sogno della Formula 1 però è sempre rimasto lì, il più alto tra quelli da raggiungere. Attaccato al rapporto con Mercedes, De Vries ha continuato a sognare. E ha fatto bene. A Monza l'appendicite acuta di Alex Albon, costretto ad operarsi d'urgenza, libera un sedile in Williams per un weekend inatteso. L'olandese non ha bisogno di un fine settimana perfetto e lo sa: l'ansia non gli fa tremare le gambe, la testa di un giovane campione c'è. De Vries batte il compagno di squadra in Williams, Latifi, sia in qualifica che in gara, tagliando il traguardo al nono posto al suo esordio su una monoposto con cui non ha grande confidenza, ricevendo il premio del pubblico come "pilota del giorno".
Basta una gara, dopo una vita di rincorse, ad aprire la strada: per lui si libera un posto in Alpha Tauri, dopo il passaggio di Gasly in Alpine, e il sogno della Formula 1 diventa realtà. Il 2023 però non parte come secondo le aspettative. Com'è bastata una gara per convincere, ne sono servite quattro o cinque per mettere l'olandese in discussione. Sua maestà Helmut Marko storce il naso: per l'imperatore dei piloti dell'orbita Red Bull basta un pollice in su o uno in giù per far cambiare il destino in pista. Così è successo a Kvjat, a Gasly, ad Albon, a Ricciardo e anche al quattro volte campione del mondo Sebastian Vettel. Così, in pochi mesi, sembra toccare anche a De Vries.
Franz Tost alza la voce: "Ai rookie serve tempo, anche tre anni per raggiungere il vero livello". Non bastano cinque gare, non basta mezza stagione. Ma Marko freme: c'è Ricciardo terzo pilota, c'è un altro giovane - Liam Lawson - che spinge per la sua occasione. Ci sono smentite e conferme, domande e risposte. E c'è, su tutto, un'unica certezza: le aspettative sui rookie sono sempre più alte, il tempo a disposizione sempre meno (considerando anche tutti i cambi di format), i papabili nomi per cambi a metà stagione sempre di più.
Le delusioni sono dietro l'angolo e questi anni ne sono la dimostrazione: da Oscar Piastri, che da stella contesa tra Alpine e McLaren si ritrova a sgomitare per la sopravvivenza sul fondo della griglia, Laurent Sergeant che in Williams combatte contro le stesse voci che attanagliano De Vries. Prima di loro lo stesso destino ha spinto fuori dal circus piloti al loro primo e secondo anno nella massima serie, in pochi mesi passati da "futuro" a "passato" della Formula 1. Serve tempo, tempo che per qualcuno c'è e per qualcuno no. Tempo che c'è stato per il primo Max Verstappen, condannato a "Mad Max" per l'animo caldo e l'incidente facile nei suoi primi anni in F1, salvato da un talento fuori dal comune che ne ha permesso la maturazione. Non a tutti però va così. Non sono tutti Verstappen, con un talento da subito visibile e innegabile, con la possibilità di mostrarsi subito, così chiaramente com'è successo a lui.
Qualche volte il passaggio è inevitabile, segno di un mondo che prende giovani, ragazzi disposti a tutti da sempre per arrivare al massimo, li mangia e li sputa via. È il massimo, la Formula 1. E al massimo bisogna essere pronti, adatti. Ma qualche volta il massimo è un obiettivo, non un punto di partenza. Una storia che si scrive in più di cinque gare, soprattutto se decisa dopo aver visto il successo di un solo momento, di un weekend perfetto che rimane fermo nel tempo.