Di questi giorni ricorderemo un'immagine, un punteggio. Jannik Sinner contro Novak Djokovic, il singolo che decide tutto, il passo obbligato verso la finale di Coppa Davis. Con Musetti sconfitto nella prima partita della giornata, il compito più duro tocca al ragazzo d'oro, a quel Sinner con cui Djokovic ha dovuto fare i conti per due volte in una settimana, a Torino nelle ATP Finals, prima vincendo e poi perdendo in finale. Può farcela, gli gridano dalla panchina, ma al terzo set il serbo ne ha di più. È il solito Djokovic, pensano tutti, leccando le ferite di una sconfitta già scritta davanti a tre match point per la Serbia. Eccolo lì, il punteggio. 6-2 al primo set per Sinner, poi 2-6 al secondo per Djokovic e infine 4-5 al terzo, con Nole in vantaggio 40 a 0.
Jannik si gira verso la panchina dell'Italia e i suoi compagni lo caricano, alzando le braccia e urlando: "Ce la fai, dai". Ne annulla uno, poi un altro, poi il terzo. Si rialza con un'impresa che nessuno aveva mai fatto davanti a Djokovic: non Federer, non Nadal. Ce la fa lui, Jannik Sinner, classe 2001, i capelli rossi nascosti sotto al cappellino bianco e una maglietta azzurra, colore della sua nazionale, portata con un orgoglio che in molti non hanno capito, percepito, voluto vedere. Eppure è tutta lì, la forza di quel sogno.
La semifinale va sull'1-1 in un sabato infinito a Malaga ma il conto si ripresenta con il doppio, quando Djokovic torna per pretendere una rivincita immediata. Dall'altro lato del campo però, mentre Nole e Kecmanovic parlano a lungo cambiando schemi e tattiche di gioco, ci sono due ragazzi che si divertono. Sinner è affaticato dall'impresa appena compiuta ma con Sonego al suo fianco sembra acquistare nuova vitalità. Ridono, si divertono, si spingono a vicenda e quando la fatica si fa sentire, a restituire forza ci pensa il resto della panchina. Vincono un doppio che li porta in finale, scavalcando l'ostacolo più duro di tutto il torneo e rimandando a casa un Djokovic senza parole: "Colpa mia - dice in conferenza stampa - ho buttato via tre match point". E mentre il numero uno al mondo ribadisce il talento di un Sinner in grande forma fisica, Jannik divide il risultato con la sua squadra, mostrando la vera faccia di una nazionale da sogno.
Non è solo Sinner, il suo talento, la capacità di ribaltare una situazione, un gioco, un set, un'intera partita. "A FIFA li portiamo a spasso tutti" dice Jannik nelle interviste post semifinale al fianco di Sonego, ridendo sulle serate in trasferta con gli altri ragazzi a Malaga. Parlano di lunghe sfide alla Play e di tornei a carte: "Ieri sera ho vinto la prima partita a burraco" dice il ragazzo, con il sorriso di chi sembra tenerci davvero anche a quel risultato, mentre Sonego al suo fianco ride di gusto.
Si divertono insieme, si vede. Si divertono anche domenica, in una finale contro l'Australia di tensione e fatica nel primo singolo - quello di Arnaldi contro Popyrin - che vede l’Italia trionfare dopo tre set di grande sofferenza. E si divertono con Sinner contro De Minaur nella seconda partita della giornata, quella della consacrazione assoluta. Jannik alza il ritmo e distrugge l’avversario in due set, alzando il braccio sul finale dell’ultimo game con quel sorriso che abbiamo imparato a riconoscere.
La panchina esulta, è una festa infinita. È l’Italia che ha vinto la Coppa Davis dopo 47 anni da quel 1976. Sono i ragazzi del torneo di burraco, quelli che giocano e quelli in panchina, quelli che danno la forza e quelli che la pretendono. Sono tutti protagonisti, da Jannik in poi. Sono loro a restituirci un sogno grande come la coppa che alzano, forse anche più grande di quella Davis riportata in Italia. È un tennis che torna di tutti grazie al loro divertimento, al talento, a un trascinatore dai capelli rossi e una squadra che non è mai apparsa così unita. È la Davis dei sogni, i nostri, i loro.