Il calcio europeo è morto, si diceva un anno fa. Ve lo ricordate? Era estate e ogni giorno arrivavano notizie di club arabi che offrivano cifre folli per importanti calciatori del Vecchio Continente. La Saudi Pro League andava arricchendosi di stelle come Neymar, Milinković-Savić e Benzema, dopo che Cristiano Ronaldo qualche mese prima aveva aperto la strada con il suo passaggio all’Al-Nassr. Riad doveva diventare il nuovo polo del calcio globale, rivaleggiando con l’Europa nel predominio del pallone. Un anno dopo, le ambizioni di questo progetto sembrano essersi ridimensionate di molto. Due casi di mercato della Serie A lo confermano meglio di tutti, quelli di Dybala e di Osimhen. Entrambi sono stati vicini alla cessione in Arabia Saudita, ma alla fine entrambi hanno rifiutato il contratto: l’argentino è rimasto alla Roma, mentre il nigeriano addirittura ha preferito essere parcheggiato temporaneamente in Turchia. Già a inizio mercato i club sauditi ci avevano provato con Mbappé, in scadenza con il PSG, ma anche lui aveva declinato la proposta senza pensarci su troppo (anche perché era già in accordi col Real Madrid). Non si può dire che la Saudi Pro League non abbia fatto mercato, nell’estate 2024, ma di sicuro i colpi scoppiettanti dell’anno prima non si sono visti.
Non è l’unico segnale che il progetto dell’Arabia Saudita di costruire un campionato competitivo fuori dall’Europa non sia andato proprio come sperato. Il calo degli investimenti e dei grandi nomi segue un flop generale del brand a livello internazionale: dopo un interesse iniziale, il pubblico televisivo italiano ha smesso di seguire le partite del campionato saudita (da noi trasmesso su La7 e Sportitalia). E in Francia è andata anche peggio, con il big match tra Al-Ittihād e Al-Hilal che è stato seguito solo da 5.000 spettatori lo scorso 1° marzo, al punto che anche L'Équipe ha parlato di un flop clamoroso. Il calcio saudita non ha sedotto i grandi nomi del pallone né gli spettatori europei, ma a quanto pare neppure quelli arabi: nella stagione 2022/23 il club più seguito, l’Al-Ittihād, aveva una media di oltre 40.000 spettatori a partita, ma nella scorsa stagione il club è crollato a meno di 18.000, e il più seguito è divenuto l’Al-Ahli, con solo 24.370 presenze.
Ciò è dovuto anche all’aumento del costo dei biglietti, fisiologico dopo i massicci investimenti dei club locali sul calciomercato. Ma in generale sembra essere il modello di sviluppo scelto da Riad a non aver funzionato. Per sostenere quelle spese, il fondo sovrano PIF aveva acquisito il controllo delle quattro squadre più importanti del paese - Al-Ittihād, Al-Nassr, Al-Ahli e Al-Hilal - ma in questo modo ha aumentato a dismisura la disparità tra questi club, già più ricchi e strutturati, e tutti gli altri, che non hanno potuto godere dello stesso sostegno governativo. Per provare a livellare la situazione, un’altra azienda statale - il colosso petrolifero Saudi Aramco - aveva acquistato il piccolo Al-Qadsiah, che ha poi ottenuto la promozione nella massima serie e nei mesi scorsi ha provato ad acquistare Dybala. Tuttavia, il campionato resta profondamente squilibrato a livello tecnico ed economico.
Fallimento, dunque? Non proprio: i piani non stanno andando come previsto, ma l’Arabia Saudita non può rimangiarsi tutti i suoi progetti per il calcio, non quando è praticamente scontata l’assegnazione del Mondiale del 2034. Per i prossimi dieci anni, quindi, bisognerà fare il possibile per tenere alto l’interesse verso il calcio locale, sia in patria che all’estero (anche attraverso il Newcastle, il club di Premier League anche lui controllato dal fondo PIF, che è però reduce da un deludente settimo posto nel campionato inglese e da una campagna acquisti molto più morigerata). L’ultima trovata, rivelata mercoledì da La Repubblica, è chiedere agli imprenditori europei di acquistare i club della Saudi Pro League. Una mossa insolita, per un paese che è abituato a comprare asset dall’estero e portarseli in casa, e adesso si trova a dover vendere i propri a degli stranieri per farli valorizzare. Khalid Al-Falih e Bader Alkadi, rispettivamente il Ministro dell’Investimento (e presidente di Saudi Aramco) e vice-Ministro dello Sport di Riad, stanno incontrando in questi giorni diversi investitori europei per sottoporre loro il progetto; gli incontri si svolgono in varie città, tra cui Londra e Milano. Se riusciranno a convincere qualcuno (l’imprenditoria europea sta venendo gradualmente soppiantata nel calcio continentale da quella nordamericana: perché dovrebbero essere in grado di sostenere un simile impegno in Arabia?), dovranno probabilmente anche garantire un futuro per questi investimenti oltre il Mondiale del 2034. Ad oggi, insomma, il grande piano per il calcio saudita non ha ancora iniziato a mettersi in marcia.