Che roba, contessa: i calciatori preferiscono i soldi. E, chi può, preferisce addirittura quelli dei club dell’Arabia Saudita, che da alcune settimane a questa parte – da quando il fondo sovrano Pif ha preso il controllo, rilevandone il 75%, dei club Al Nassr, Al Hilal, al Ittihad e Al Ahly, foraggiandone le faraoniche campagne acquisti – fanno spesa nei maggiori campionati europei arrivando a offrire ingaggi annui che valgono quanto cinque, sei o dieci stagioni in Serie A, Ligue 1, Bundesliga, Liga o, in certi casi, anche Premier League.
Percezioni: ha iniziato Cristiano Ronaldo, e gli hanno dato del bollito. Severo, ma a 38 anni ci può anche stare, per quanto economicamente valga ancora di più un suo gol che una semifinale di Coppa Italia. Quindi Karim Benzema, pallone d’oro in carica, ma ha 35 anni, e vabbè. E Kalidou Koulibaly, Edouard Mendy, Firmino e N’Golo Kanté, gente che in Italia, Spagna, Francia e Germania sarebbe titolare pressoché ovunque, ma dai, in fondo hanno più di trent’anni, è il loro ultimo contratto. Che fessi, questi sceicchi, dove vogliono andare, con questo cimitero di elefanti?
Ruben Neves prima, ma soprattutto Marcelo Brozovic e Sergej Milinkovic-Savic – e altri ne arriveranno, potenzialmente ancora più eclatanti – hanno poi smontato parte della narrativa, e a questo punto si sono tirate in ballo la mancanza di ambizione e l’avidità: ma come, siete già ultramilionari, a sufficienza per avere sistemato nel lusso o nell’agio almeno un paio di generazioni, e ne volete ancora di più? Ma volete mettere la musichetta della Champions, i tifosi, la storia dei club, la visibilità, il tavolo all’Hollywood? E le maglie baciate? E gli ideali? E Khashoggi?
Già, Khashoggi. Crimine brutale, orrendo, ignobile, ma non si ricordano levate di scudi in memoria di Anna Politkovskaja quando Spalletti, Marchisio o Mancini accettarono le offerte dello Zenit San Pietroburgo, per dire di un altro crimine brutale, orrendo, ignobile e perpetrato ai danni di una giornalista – come giornalista era Khashoggi – non allineata. Al netto dell’evidente differenza a livello di diritti e alla carenza di democrazia rispetto ai canoni occidentali, certe critiche la buttano in caciara, e del resto che si debba chiedere a un calciatore (o uno sportivo generale: la Formula 1 corre a Gedda, i migliori tennisti ogni dicembre vanno a caccia del lauto montepremi della Diriyah Cup) di rifiutare in nome degli ideali occidentali, suona piuttosto ipocrita quando tutti gli Stati fanno affari con l’Arabia Saudita – a questo link il sito della Farnesina rivendica con orgoglio la presenza di aziende italiane nel Paese – e quando, a mero titolo di esempio, un ex presidente del Consiglio come Matteo Renzi ha definito l’Arabia Saudita, da conferenziere a contratto, come “il luogo di un nuovo Rinascimento”.
Perché il tema è questo, nel calcio europeo: dove servono finanziatori, i sauditi ci sono e così, dopo anni in cui ti sei venduto e hai goduto di questo, oggi non puoi indignarti se il giocattolo lo stanno comprando loro per dirigerlo in futuro, in patria o altrove (tipo Tonali al Newcastle). Chi di turbocapitalismo ferisce, di turbocapitalismo perisce: c’è chi la globalizzazione l’ha interpretata e chi derideva le mosse di ieri parlando di cammelli e deserto. I sauditi hanno scalato il golf mondiale – la riunificazione tra PGA, DP World e LIV dice esattamente questo – e provano a farlo con il calcio, con i soli Stati Uniti a contrastare con mosse efficaci (il Mondiale 2026 e Messi all’Inter Miami).
Fare la morale a chi sceglie la Saudi Pro League è un esercizio di inutile etnocentrismo: il calcio è questo da anni, e non è che se uno lascia il Sudamerica per andare a giocare, che so, nel Norwich City, lo fa perché ha sempre sognato di vivere in East Anglia poiché attratto dai dipinti di John Constable, ma per una qualche forma di convenienza economica. Oggi è spuntato un nuovo padrone. Chi saluta l’Europa e accetta di farsi ricoprire di petrodollari ha la medesima dignità di quelli che dicono di no.
Piuttosto, è lecito chiedere ai calciatori di rispettarli, quei contratti, non essendo abituati a farlo. Troppo facile oggi firmare per tre-quattro stagioni e cercare di andarsene dopo la prima, avendo già abbondantemente rimpinguato il conto in banca, per poi cercare di nuovo un ingaggio in Europa, e tanti cari saluti. L’Arabia Saudita di oggi non sembra la Cina di alcuni anni fa: hanno i soldi, ma hanno anche un’idea chiara. E non sono scemi.