Solo un illusione. Le tre recenti finali nelle coppe europee - tra l’altro senza trofei portati a casa - e la finale ai Mondiali Under 20 sono stati una specie di volo pindarico con atterraggio sui ceci, mentre il calcio italiano affronta forse la crisi più profonda della sua storia. L’eliminazione dell’Under 21 agli Europei in Romania, sebbene sia stata condizionata dalla partita farsa all’esordio con la Francia che ha penalizzato gli azzurrini, è l’ultimo elemento che forma una prova già certissima. L’Italia non è più una potenza calcistica da un pezzo. Mancata la qualificazione alle Olimpiadi per la quarta volta in fila, sui risultati della Nazionale maggiore di Roberto Mancini forse meglio soprassedere, anche se il ct racconta di una rosa arricchita dai giovani che però non giocano in campionato. Il terzo posto in Nations League ovviamente non è neppure un palliativo, perché la crisi è di sistema, avvolge i club, le strutture, le istituzioni e soprattutto chi si accomoda al vertice di quelle istituzioni senza mai trarre le conseguenze degli insuccessi. Anzi, il presidente della Figc Gabriele Gravina si sente bello solido al vertice mostrandosi poi meravigliato se l’asta per i diritti tv della Serie A dal 2024 al 2029 propone offerte al ribasso dei broadcaster, tutti i broadcaster, al punto che la Lega pensa davvero di creare il proprio canale ufficiale, se le trattative individuali non producessero qualcosa di meglio. Sul campo poi c’è Roberto Mancini, visionario e straordinario architetto dell’Italia di Euro 2020 che si ritroverà anche la supervisione dell’Under 21.
Ha ragione Fabio Caressa quando su Instagram spiega che il campionato italiano segue la scia di quello francese, ovvero che è ormai solo un trampolino di lancio per il successivo approdo dei giovani divenuti potenziali campioni nei ricchi tornei inglesi, ora anche in Arabia Saudita. E se la Premier League da ormai dieci anni è la “Nba europea”, la Serie A retrocede. I migliori corrono verso la Premier League, ora anche verso i petrodollari sauditi. La Liga spagnola conserva il suo fascino perché Real Madrid e Barcellona restano due globetrotter, il calcio tedesco si mantiene in salute con le sue regole che non concedono spazio ai fondi di investimento e tutela parecchio i vivai dei club. La lotta ora è con il torneo francese, ma a differenza della Ligue 1, dove i 17enni accumulano minutaggio da titolari, non con spezzoni di partita nelle grandi, la Serie A non riconosce la parola “giovani”.
E quindi il ricorso ai prodotti dei settori giovanili, di cui ha parlato Caressa come arma obbligata per uscire dall’angolo, per il momento appare solo in dissolvenza. Anche se rappresenta davvero l’unica strada per far crescere il movimento, per proporre un pacchetto di calciatori pronti per la nazionale maggiore. Non si intravedono attaccanti di valore, il vecchio numero 10 italiano, che ora sarebbe piazzato su una delle fasce come avviene in Europa, è ormai una chimera. Talenti davvero importanti non ce ne sono. E non è un caso. Insomma, si è delineato uno scenario che pone l’Italia assai lontana da Inghilterra, Germania, Spagna, ora indietro anche alla Francia, che produce fuoriclasse in serie. Si esce dall’angolo solo cambiando davvero le cose, con dirigenti coraggiosi, indipendenti dalla forza dei club, che a loro volta dovrebbero smetterla di utilizzare i giovani solo nelle trattative per ripianare i debiti a bilancio. Così non se ne esce.