C’è un copione, in Formula 1, che si ripete. Un ordito silenzioso che nella confusione del paddock si intreccia con la sua trama e dà origine ad un tessuto che sembra reinventarsi ad ogni nodo. Il connubio di due parti che si incastrano alla perfezione e che, nel farlo, incastrano anche chi – da fuori – guarda e pensa di cavarsela. E quando l’impeccabilità viene a mancare, ci sarà sempre e comunque un ritorno alla base, forte di un rapporto che va avanti da quasi dieci anni, forte di un’eredità che nell’avversità si riscopre.
In Qatar la Red Bull Racing si presenta con una vettura non in condizioni: sottosterzo, sovrasterzo e bouncing rendono la vita di Max Verstappen un inferno. Una storia già vista, di una squadra in difficoltà, che al venerdì vede tutto nero per poi lasciarsi alle spalle il colore che tutto copre e abbracciare il sabato e la domenica con un sorriso smagliante, o quasi. Il terzo posto nella Sprint race fa del quattro volte campione del mondo un redivivo, o qualcosa che gli si avvicina. Poi la terza posizione si ripropone al termine delle qualifiche, frutto di problemi che ma rimangono. Un déjà-vu che affonda le radici in un passato recente, protagonisti i tori e fine settimana rovesciati, epiloghi felici in domeniche guardate dall’alto del primo posto. E allora nell’album dei ricordi, Lusail ci entra a pieno titolo.
Sotto bandiera a scacchi nel deserto del Qatar è Max Verstappen a tagliare il traguardo per primo, un finale non anticipato e non anticipabile, perché lo strapotere McLaren è una variabile che quest’anno è stata messa in dubbio tante volte quante sono, forse, le dita di una mano. E in poche occasioni come questo weekend non lasciava spazio all’incertezza. Un Oscar Piastri rinato, in sintonia con la sua MCL39, un Lando Norris inseguitore, ma saldo in vetta alla classifica mondiale. E invece in Formula 1 succede che una squadra data ormai per condannata e con un cambio ai vertici in corsa, un giorno si svegli e decida di dire “basta”. Il Campionato Costruttori è un sogno sbiadito, fermo all’anno 2023, a Woking il lavoro è immacolato e irraggiungibile, la compagine papaya si riprende lo scettro. Ma c’è una cosa che la McLaren non ha, e non è Max Verstappen. È un legame che ha tentennato, o questo è quello che ci piace raccontare, di grida “al lupo” in un mercato che non si addormenta mai: il pilota più forte degli ultimi tempi saluta la famiglia che lo ha cresciuto. Falso.
Quello che manca ad Andrea Stella e Zac Brown è un legame viscerale, una testa calda e fredda allo stesso tempo, che di famiglia non parla per scherzo, ma bensì con una serietà che rasenta il rito. E quindi non è Max la risposta alla carenza, è Max nel suo essere e respirare Red Bull. È il tessuto Red Bull e Max Verstappen, ordito e trama. È Hannah Schmitz, che dal muretto continua a ricordarci che tra i motori c’è sempre posto per le donne e che da quel trono chiamato podio mette l’ennesimo sigillo a una carriera di strategie al dettaglio. C’è lei dietro il ritorno ai box dell’olandese al settimo giro, c’è lei davanti alla marea umana che in Qatar è accorsa a godersi lo spettacolo di un mondiale ancora aperto.
In Formula 1 succede che la macchina più veloce non basta, che due dei piloti più forti al mondo paghino pegno. Succede che la scuderia campione in carica faccia autogol. Poi ci si prende la responsabilità, del non fatto e del non detto, poi si fanno i conti a porte chiuse, sotto la coltre di un umore, quello di Oscar Piastri, che altro non può essere se non nero. La vittoria, in fondo, era già scritta. Stava lì, ad aspettare. Ma è forse arrivato il momento - per McLaren - di abbandonare una volta per tutte il verbo dell’indugio e invocare quello dell’assalto. Perché prendere è meglio di attendere, afferrare è bene, prima che a farlo sia un pilota olandese che da giorni ormai segue un mantra soltanto: “non ho nulla da perdere”.
In Qatar va così, la Red Bull di Laurent Mekies (o dovremmo forse dire di Max Verstappen?) si vede riflessa in una McLaren acerba, che nel cercare equità ha trovato complicazioni, incastrata nella sua stessa ragnatela e in quella di una squadra d’esperienza, di un ragazzo che con Abu Dhabi non ha alcun conto in sospeso. Saldato da quattro anni, dall’ultimo giro in curva 5, così Max si presenterà lì dove ha indossato la prima corona, leggero e libero dal fardello della difesa, trainato dal puro istinto della caccia. Lì dove ci ha creduto fino alla fine, lì dove la Red Bull è diventata ancora più casa.