La verità è che vorresti trovare un taglio originale e qualche parola fresca per scrivere che Valentino Rossi compie 46 anni. Eppure gli aggettivi su di lui si sono esauriti da tempo, la storia secondo cui Vale ha vent’anni da vent’anni è trita e ritrita, l’esegesi del quarantasei – la teorizzazione della rotondità del numero abbinata alla soddisfazione piena che genera pronunciarlo – già sentita e divulgata. Eppure non ti sembra ancora il momento di giocarti il jolly, l’opzione estrema, l’ultima spiaggia, la stessa alla quale Valentino e il designer Aldo Drudi hanno pensato di attingere quando le idee convincenti per la realizzazione di un casco speciale scarseggiavano: “Scusate ragazzi, ma stavolta non ci è venuto in mente un ca**o” – la scritta nera sullo sfondo bianco della calotta. Ecco, quel casco non è mai stato utilizzato, è un’ipotesi rimasta nel cassetto: perché Valentino Rossi si è sempre inventato qualcosa. E spesso le trovate migliori sono state quelle dell’ultimo secondo, arrivate quando il 46 è stato costretto ad arrabattarsi, quando ha insegnato a milioni di persone che credere in sé stessi fino alla bandiera a scacchi può portare risultati sorprendenti.
Così provi ad immedesimarti in lui, che apre gli occhi nel giorno del suo quarantaseiesimo compleanno. La prima sensazione, l’ha svelato al Corriere qualche settimana fa, è di sollievo. Per essere vivo, sano e integro dopo ventisei anni di Motomondiale, dopo aver visto la morte in faccia in Austria, dopo averla vista attraversare fatalmente la pista nel 2011 in Malesia, quando quella si portò via Marco. Il sollievo di svegliarsi ed essere circondato dalle donne: la Franci, con cui ha dato vita a Giulietta e Gabriella. E poi la Stefi, la mamma, imprescindibile (l'abbiamo intervistata per l'occasione). Il sollievo di essere diventato un family man, superando così quella che fino all’annuncio del ritiro era stata una delle sue più grandi paure: se tre anni fa qualcuno vi avesse detto che Valentino Rossi si alza ogni giorno alle 7:40 del mattino per preparare il latte alla figlia, lo avreste certamente guardato come Neri Marcoré osserva il mondo che lo circonda in “Quando”, film in cui si risveglia dopo 31 anni di coma e trova una realtà parecchio cambiata rispetto a quella che aveva abbandonato a causa di una grande botta in testa presa durante i funerali di Enrico Berlinguer nel 1984.
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Allora te lo immagini Vale che prova a mettere in fila questi pensieri mentre, stropicciandosi gli occhi, scuote e scalda il biberon di Giulietta. Chissà se di prima mattina gli passa per la mente di essere il quarantasei, uno che è stato in grado di dare anima e corpo ad un numero. Quarantasei significa Valentino Rossi in qualsiasi lingua: non ci sarebbe da stupirsi se un giocatore della Nazionale di calcio del Bhutan dichiarasse di aver scelto di mettersi quel numero sulle spalle in onore di un pilota che ha girato tutti i circuiti del mondo con un sole stilizzato sulla gamba destra, una luna sulla sinistra e la scritta “The Doctor” con font fumettistico sulle chiappe. Uno che ha vinto tutto e che ha perso tanto. Uno che ha pianto solamente alla fine di quel maledetto giorno a Sepang. Uno che viene venerato da Brad Pitt. Uno che si è visto dedicare canzoni da una fetta importante del cantautorato italiano. Uno che ha reso il giallo il colore delle corse, alla pari del rosso. Uno che gira ancora con gli amici d’infanzia. Uno che ha fondato un’azienda che oggi conta un centinaio di dipendenti. Uno che ha fondato una scuola di piloti, presto diventata la più titolata del globo. Uno che vive ancora nel posto in cui è nato – Tavullia – tra colline, mare, provinciali panoramiche e gli anziani del bar. Uno più uno più uno più uno fino ad arrivare, forse, a quarantasei.
Uno che ha tutto e ti chiedi perché debba alzarsi alle sette del mattino senza il sorriso sulle labbra. Eppure la filosofia è piena di teorie che mettono in guardia, che avvertono: proprio quando ti sembra di avere tutto arriva il difficile. Invece per Vale, in pista e fuori, l’attacco è sempre stato la miglior difesa: l’eventuale cherofobia, quella paura della felicità che potrebbe inibirti e farti vacillare, lui la combatterebbe a colpi di sorrisi. Forse lo sta già facendo, forse l’ha già fatto in passato. Di certo il signor Rossi è sempre apparso incredibilmente distante dalle fauci dell’inferno della mente che esiste veramente, quello che canta Vasco e che in forme più o meno aggressive bussa inesorabile alla porta di tutti gli esseri umani. Anche lui avrà avuto i suoi bassi, ovvio: una settimana spesa a rigirarsi nel letto dopo il Mondiale perso nel 2006 contro Nicky Hayden, i problemi col fisco (“È stato un disastro, ma anche una fortuna, mi ha permesso di capire che ero pronto per essere me stesso” – ha dichiarato recentemente). Il finale del 2015 contro Marc Marquez, che nel martedì post Valencia era già diventato “un leggero rodimento di culo di sottofondo”. Tutti i problemi capovolti in opportunità, tutte le delusioni superate con quel modo di fare lì, di sgonfiare le pesantezze aprendosi in una risata.
Oggi Valentino Rossi, anni 46, si sveglia presto e sorride, perché è ciò che sa far meglio. E se proprio sente la necessità di scaricare adrenalina, prende e parte per un’endurance notturna al volante della BMW M4 GT3. Magari in Australia, dove due settimane fa è salito sul podio. Oppure una garetta al Ranch con Pecco, Bez, Morbido, Luca, Cele, Mig, per ribadire che loro sono gli allievi e lui è il maestro. Oppure il giro della casa su una motina elettrica, per portare a spasso Giulietta e farle assaporare un po’ di vento nei capelli.
Oggi Vale si sveglia e forse penserà di essere vecchio, ma in fondo cosa importa. Si stiracchierà, accovacciandosi ai piedi del letto come ha fatto per una vita prima di salire in moto. Il sedere che sfiora i talloni, le mani giunte, posizione da combattimento. Poi in piedi, un piccolo scuotimento delle spalle simile ad un balletto. Infine una sistemata alle mutande, una grattata ai gioielli di famiglia. Si può partire. È tutto ok. È un’altra splendida giornata.