Qualcuno ha pure azzardato un applauso. Ed è stato un gesto bellissimo, anche se poteva essere indirizzato semplicemente alla fine della gara e non necessariamente a Marc Marquez che aveva tagliato per primo il traguardo dopo cinquecento giorni senza vittorie e un calvario sportivo, e umano, che sembrava non avere fine. Tutto normale? No. Perché è a Tavullia, proprio nel locale di Valentino Rossi, che quell’applauso è andato in scena. Miracoli del motorsport, gesti che fanno bene alle corse e che arrivano, magari, proprio dal luogo in cui meno te lo aspetteresti. Certo, non sono stati tutti ad applaudire, ma sono stati tutti quelli che c’erano tra l’interno e l’esterno del ristorante “da Rossi”, a Tavullia, a comportarsi in un modo distante anni luce da come, invece, molti pseudotifosi si comportano sui social.
Non c’era la solita calca di una domenica di gara a Tavullia, ma la gente non era certo poca e tutta, manco a dirlo, era incollata ai vari televisori. Mentre Marc Marquez inanellava giri veloci su giri veloci come un forsennato e Valentino che, paradossalmente, replicava gli stessi tempi ma nelle retrovie. Ho visto gente tifare, senza augurare il peggio a quello verso cui non era indirizzato il loro tifo, ho ascoltato persone prendersela con le gomme, altre con Yamaha e altre ancora con il tempo che passa per tutti. Ma di quei “devi morire” all’indirizzo di Marquez che, contestualmente, comparivano come commenti in diretta sui social non sono neanche lontanamente esistiti a Tavullia, nel cuore pulsante del rossismo.
Certo, se Oliveira avesse raggiunto Marquez, magari a qualcuno sarebbe scappata una esultanza, ma quello ci sta. Invece il segnale che lascia sperare in un futuro di passione anche “dopo Rossi” c’è stato ed è stato evidente proprio a casa di Valentino Rossi. Sembra poco, ma è tantissimo. Perché dove c’è la passione vera, e non il giannizzerismo da social, magari ci si arrende pure alle sorti del proprio beniamino, finendo per parlare a lungo, tra appassionati che guardano la stessa gara, di Bagnaia che deve imparare a partire bene e credere in se stesso, di Morbidelli che è un gran manico ma non è messo nelle condizioni di esprimersi. Oppure di Luca Marini che, piano piano, magari in maniera meno veemente e vistosa di altri, saprà arrivare. O, ancora, addirittura della gara prima, con “Bezzecchi che ci deve mettere più cattiveria perché quei due di KTM non sono imbattibili”. Tutti discorsi che ho sentito tra i tavoli, proprio domenica, mentre Marc Marquez andava a vincere, mentre Valentino Rossi conteneva i danni, mentre Franco Morbidelli, un altro che a Tavullia è di casa, probabilmente teneva a freno la voglia di spaccare il casco in testa a qualcuno mentre rientrava nel box dopo aver tagliato il traguardo diciottesimo.
Di Marc Marquez no, nessuno ha parlato, nel bene e nel male e qualcuno ha pure azzardato un applauso. Dicono che il 2015 non è mai finito e che probabilmente non finirà mai, ma domenica a Tavullia ho capito qualcosa su cui, devo ammetterlo, nutrivo qualche dubbio: neanche il motociclismo morirà mai, perché gli appassionati veri ci sono ancora e non c’entrano niente da niente con gli avvelenati, e repressi, leoni da tastiera dei social.